“Bambini all’inferno”: L’infanzia sofferta a Gaza e nei Territori occupati

BambiniGaza

Cecilia Gentile
Bambini all’inferno
Casa editrice Salani

Un corridoio sospeso nel nulla, in mezzo al deserto di una terra disabitata, sempre sotto il tiro delle armi israeliane. È l’ultimo chilometro prima di entrare nella Striscia di Gaza dal valico di Erez. L’autrice lo ha percorso in completa solitudine, con paura. Alla fine si è trovata davanti gli uomini di Hamas, i versetti del Corano, i taxi scalcinati che portano lontano dal confine, le montagne di detriti e i bambini che scavano con le mani per raccogliere calcinacci da riutilizzare.
Nella Striscia vivono un milione e settecentomila persone, strette tra il blocco israeliano e l’integralismo di Hamas. Oltre la metà sono ragazzi con meno di diciotto anni, il 44% bambini con meno di quindici. Questo libro è nato dal loro incontro con l’autrice, che è entrata nella loro vita, li ha fatti parlare e raccontare. Una sconvolgente inchiesta sulla drammatica situazione dei bambini a Gaza e nei Territori Occupati della Palestina. Titolari, come tutti, di diritti inviolabili, questi ragazzi sono le vittime incolpevoli della violenza e della guerra.


INTERVISTA A CECILIA GENTILE, MERCOLEDI’ 9 OTTOBRE 2013 (a cura di Luca Balduzzi)

Come sei venuta a conoscenza di questi bambini e delle loro storie?
A cominciare dal 2008, al seguito di “Follow the Women”, il gruppo di donne che attraversa il Medio Oriente in bicicletta per chiedere il riconoscimento della Palestina come stato indipendente, mi sono recata in Israele e in Palestina in diverse occasioni.
Questi sono bambini che ho incontrato personalmente nella Striscia di Gaza, andando là appositamente per conoscerli e per farmi raccontare le loro esperienze. Questo genere di storie non è possibile ascoltarle da altre persone, bisogna guardare chi te le racconta dritto negli occhi e partecipare delle sue emozioni, insomma ci si deve lasciare coinvolgere completamente. Con alcuni di questi bambini siamo anche diventati amici, e questo ha contributo a creare una sensazione di intimità tale da spingerli ad aprirsi in una maniera ancora maggiore.

Quale percezione hanno questi bambini di quello che sta succedendo attorno a loro?
Questi bambini sono coscienti del fatto che attorno a loro sta succedendo qualche cosa che è allo stesso tempo “normale”, nel senso che è oramai entrato a fare parte della loro vita di tutti i giorni, ed eccezionale. E capiscono di vivere in una situazione che è profondamente differente da quella di molti altri bambini.
Sanno molto bene che nemmeno l’acqua e l’elettricità sono beni da considerare così scontati: più di un paziente ricoverato in ospedale è morto perché i macchinari si sono bloccati quando la corrente salta. Sono abituati ad essere circondati dai posti di blocco, sia dell’esercito israeliano che di quello egiziano, e a degli spostamenti che possono diventare complicati al punto da rendere loro impossibile la frequentazione della scuola. Riconoscono il rumore che fanno i droni quando si alzano in volo. Sanno che un bombardamento aereo può prendere il via senza nessun preavviso, hanno sperimentato la devastazione che può provocare, e sanno che cosa significa la perdita di un parente o di un amico.
I bambini dei campi profughi della Cisgiordania hanno anche sperimentato che cosa voglia dire essere aggrediti senza alcuna motivazione dai coloni israeliani. A Musa, per esempio, un colono ha sparato ad una gamba solamente per “divertimento”.
Questi bambini sono distrutti da questa situazione di conflitto, magari latente però comunque presente in qualsiasi momento. Qualcuno fra loro sogna di diventare un ingegnere per ricostruire il proprio paese, o si studiare da infermiere/medico per aiutare le persone che stanno soffrendo, ma allo stesso tempo percepiscono gli israeliani esclusivamente come loro oppressori e nemici.

Ci sono occasioni di incontro fra i bambini palestinesi e quelli israeliani? L’immagine che si ha degli israeliani “in generale” si riflette anche nei rapporti fra i bambini?
Nella Striscia di Gaza non c’è alcun rapporto fra i palestinesi e gli israeliani, al di fuori di quelli con i soldati. Con i coloni della Gisgiordania, fra l’altro i più ortodossi, la situazione è quella descritta prima… e addirittura nel quartiere Silwan di Gerusalemme Est si è insediato un gruppo di coloni che fa capo all’agenzia El Al che sta portando avanti una vera e propria pulizia etnica con il pretesto che in quella zona sorgeva la reggia del Re Davide.
Qualcosa cambia in alcune scuole di Gerusalemme, come Hands In Hands, in cui si riesce a creare un contatto, e si cerca di abbattere i pregiudizi reciproci attraverso la conoscenza e il gioco.

Immaginando il loro futuro, questi bambini sono pessimisti ed accettano passivamente questa situazione, oppure i sogni di cui parlavamo prima fanno loro sperare di poter contribuire concretamente ad un cambiamento?
Dopo i 12 anni tutti i bambini della Striscia di Gaza vorrebbero abbandonare il paese, perché credono che per loro non ci sia alcun futuro possibile se rimangono.
Ma ci sono anche bambini che dimostrano di essere già degli uomini, e accettano di assumere il ruolo di capofamiglia in seguito alla morte del loro padre, e di preoccupandosi delle necessità delle loro madri e dei loro fratelli. Una capacità di reazione quasi innata di fronte ad una situazione così difficile.
E c’è anche qualcuno che sta cercando in qualsiasi modo di mostrare al mondo che anche a Gaza ci possono essere anche la vita, l’arte e la creatività, e non soltanto la diperazione, la guerra e la violenza. E il caso, per esempio, di un gruppo di filosofi, di fotografi e di videomaker che ha avuto l’occasione di intraprendere una “tournée” in Europa, fermandosi anche in Italia.

Il libro cerca di essere d’aiuto a questi bambini non solo facendo conoscere le loro storie, ma anche sostenendo progetti che li riguardano da vicino…
Sì, i diritti d’autore del libro verranno interamente devoluti al Palestinian Centre for Democracy and Conflict Resolution, un’associazione di Gaza che assieme a Save the Children è impegnata in progetti di sostegno e di protezione per l’infanzia.

Come è nato lo spettacolo tratto dal libro portato in scena a Roma la Domenica delle Palme?
Grazie all’interessamento di Daniele Cipriani, un promoter già conosciuto per avere portato in Italia i grandi protagonisti della Danza internazionale, che è riuscito a coinvolgere le attrici Rossella Brescia, Vanessa Gravina e Fioretta Mari, e il Coro di Voci bianche del Teatro dell’Opera di Roma.
Speriamo di riproporlo anche in altre città, intanto io continuo ad incontrare i ragazzi delle scuole per raccontare loro le storie di questi bambini.

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