Lavoro: la truffa ideologica chiamata coesione sociale

di Claudio Romiti

In tema di flessibilità nel mondo del lavoro, mi sembra ragionevole l’apertura del governo, espressa dal ministro Sacconi nel corso della puntata di ieri di “Porta a porta” nei confronti delle proposte portate avanti dal senatore dell’opposizione Pietro Ichino. Ciò dovrebbe servire a spiazzare l’eterogeneo fronte dei nemici del cambiamento, trova nella Cgil l’elemento più irriducibile.

D’altro canto, i fautori della conservazione politico-sindacale hanno rispolverato in questi giorni una definizione, sempre pronta all’uso, la quale nasconde una vera e propria truffa ideologica: coesione sociale. Due parole magicamente giustapposte che, non appena qualcuno cerca di riformare un modello di relazioni sociali ancora molto ottocentesco, vengono brandite a mo’ di minaccia, sottintendendo che qualunque provvedimento di liberalizzazione del mondo del lavoro potrebbe sfociare in chissà quali scenari apocalittici.

Ora, il problema è che questi sedicenti paladini dei salariati si dimenticano di spiegare, ed in questo consiste la citata truffa ideologica, che in un Paese come il nostro, affetto da collettivismo strisciante e da un eccesso impressionante di ingessature burocratiche, che la cosiddetta coesione sociale si manifesta in larga parte in un continuo squilibrio tra soggetti diversi, in cui i furbi e gli ultra-tutelati troppo spesso prosperano ai danni di chi si trova, per scelta o per destino personale, fuori dai tanti comodi steccati protezionistici di questo disgraziato Paese. E quindi, sotto questo profilo, abbiamo una sorta di coesione sociale dei fortunati e dei paraculi a tutto danno di chi, magari propenso a svolgere una attività di mercato, non gode di tutta una serie di garanzie e privilegi politico-sindacali che continuano passare per diritti acquisiti.

Esiste, pertanto, una truffaldina coesione sociale che opera in molti settori, in cui lavoro e previdenza rappresentano quelli con gli squilibri più evidenti, in cui al vantaggio di qualcuno – pensiamo al cattivo esempio delle famigerate pensioni baby – corrisponde una difficoltà per altri soggetti.
Da questo punto di vista il modello di coesione sociale che la sinistra e buona parte del sindacato portano avanti è quello che si basa sulla tutela esagerata del proprio “parco buoi”di riferimento, lasciando fuori tutto il resto.

Ma questa miope impostazione, così come giustamente ha rilevato da tempo la parte più avanzata dell’Europa, costituisce un grave intralcio allo sviluppo complessivo della nostra economia, impedendo che le risorse umane possano trovare un fertile mercato per essere adeguatamente valorizzate. Su questo piano l’idea ottocentesca di legare i nostri lavoratori ad un rapporto simile a quello dei servi della gleba, seppur a parti invertite, che caratterizzava il Vecchio continente ad est dell’Elba, attraverso un vincolo perpetuo con l’azienda, rappresenta quanto di più anacronistico si possa sostenere, soprattutto in un mondo dominato da una competizione globale sempre più spietata.

Claudio Romiti

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