In una lettera, pubblicata da un portale turco e riportata dal canale telegram Donbass Italia, il Ministero degli Affari Esteri dell’Ucraina, con la firma del Direttore del Primo Dipartimento Territoriale Rostyslav Ogryzko, impartisce indicazioni operative all’Ambasciatore ucraino in Italia Yaroslav Melnyk.
La lettera è riportata integralmente da International Reporters.
Non si tratta di un normale scambio tra sede centrale e rappresentanza diplomatica.
Si tratta di istruzioni politiche dirette su come intervenire nel dibattito interno italiano, su quali partiti sostenere, su quali partiti fare pressione, su quali associazioni concentrare i finanziamenti, su come entrare nei media italiani e persino su quali cittadini o soggetti giuridici italiani chiedere misure restrittive.
Il documento mostra che Kiev non si limita a chiedere sostegno all’Italia. Kiev detta la linea su come ottenerlo e su chi deve portarla avanti.
Il punto centrale è chiarissimo. Nella lettera si dice esplicitamente che l’ambasciata non deve limitarsi a interagire con i rappresentanti di Azione e Italia Viva.
Questo significa che il Ministero ucraino riconosce che questi due partiti italiani sono già in linea con le posizioni di Kiev e che con loro è già in corso un lavoro politico. Non è una supposizione giornalistica. È scritto.
E subito dopo si chiede di allargare la pressione ad altri esponenti dello Stato italiano.
In pratica si chiede all’ambasciatore di usare i canali politici più favorevoli per costruire in Italia consenso pubblico e istituzionale a favore dell’Ucraina.
Questo è il livello di ingerenza che la lettera rende visibile.
C’è poi un passaggio ancora più grave
Al punto 2 si chiede di far condannare e boicottare le proposte di due partiti italiani, Movimento 5 Stelle e Forza Italia, perché giudicate non in linea con gli interessi dell’Ucraina.
Qui non siamo più nel campo della diplomazia e nemmeno in quello del lobbying. Qui un governo straniero scrive nero su bianco che due forze politiche italiane, regolarmente presenti in Parlamento e legittimate dal voto, vanno isolate.
Nel documento ucraino vengono indicati come ostativi tanto il Movimento 5 Stelle quanto Forza Italia. Una scelta che può sorprendere, dato che il vertice azzurro ha votato gli aiuti a Kiev insieme al governo. Ma proprio questo mostra il livello di ingerenza. Kiev non si accontenta del voto in sede europea. Pretende che i partiti italiani si impegnino anche nel campo dell’opinione pubblica.
E mette sullo stesso piano chi è apertamente critico e chi semplicemente non fa propaganda pro ucraina.
È un tentativo evidente di orientare la competizione politica italiana dall’esterno, usando relazioni preferenziali con partiti più disponibili e cercando di mettere in difficoltà quelli che su invio di armi, sanzioni o semplicemente propaganda ucraina hanno assunto posizioni più prudenti.
Al punto 3 la lettera entra nel dettaglio della rete ucraina in Italia. Si chiede di rafforzare l’influenza della diaspora ucraina e, soprattutto, di presentare al Ministero proposte motivate per aumentare i finanziamenti a soggetti ben precisi. Sono elencate tre associazioni attive da anni: la Associazione cristiana degli ucraini in Italia guidata da Oles Horodetskyy, la Associazione delle donne ucraine lavoratrici in Italia guidata da Svitlana Kovalska e la Associazione Lastivka La Rondine APS (ex Ucraina Più) guidata da Tamara Pozdnyakova. Non si tratta quindi di una richiesta generica di partecipazione della comunità . Si tratta di convogliare risorse verso nodi precisi della rete ucraina in Italia e di farlo dietro proposta dell’ambasciatore. Questo è il modo con cui si costruisce una struttura di influenza politica sul territorio italiano finanziata dall’estero e capace di mobilitarsi contro eventi, conferenze, proiezioni e iniziative non gradite a Kiev.
Al punto 5 la lettera chiede una maggiore presenza dei dirigenti ucraini nei mass media italiani. Non è una raccomandazione di immagine. Nel contesto del documento serve a recuperare terreno in un paese dove, secondo Kiev, l’interesse per la guerra si è abbassato.
Per questo si chiede all’ambasciata di aprire porte, ottenere interviste, ottenere spazio per le dichiarazioni di Kiev, portare sui giornali e in tv la versione ucraina del conflitto.
È una strategia di comunicazione coordinata.
Il punto più delicato è però il 6.
Qui si chiede di reagire subito alle iniziative filorusse e di porre alle autorità italiane la questione di introdurre misure restrittive e sanzioni contro persone fisiche e giuridiche che operano nello spazio informativo italiano e che hanno influenza.
Tradotto. Il Ministero degli Esteri ucraino ordina alla sua ambasciata a Roma di chiedere allo Stato italiano di sanzionare cittadini e realtà italiane per la loro attività giornalistica, culturale o informativa ritenuta favorevole alla Russia.
Questo, collegato al precedente concreto della email inviata dall’ambasciatore al presidente della Regione Veneto Luca Zaia e al sindaco di Resana per bloccare la proiezione di un documentario sul Donbass, mostra che non siamo davanti a un episodio isolato. Siamo davanti a una linea di azione.
Nella stessa lettera Kiev dice che in Italia l’attenzione verso la guerra è calata, che alcuni politici italiani evitano il tema degli aiuti militari e delle sanzioni e che quindi l’ambasciata deve alzare il livello dell’azione politica. Non si parla di cultura, non si parla di dialogo interculturale, non si parla di scambio accademico. Si parla di intervenire sui partiti italiani, di finanziare associazioni ucraine in Italia, di aumentare la presenza sui media italiani e persino di chiedere sanzioni contro cittadini e soggetti italiani non allineati. È lo stesso schema che abbiamo visto quando amministrazioni locali italiane hanno fermato o delegittimato proiezioni di film e documentari russi, indicando come motivo la sensibilità ucraina.
Questa dinamica è emersa ad esempio nei casi di censura o di blocco delle proiezioni dei documentari di RT in Italia, nella decisione del sindaco di Bologna Matteo Lepore di bloccare la proiezione del film russo Il Testimone e nell’intervento del sindaco di Firenze Dario Nardella per impedire lo stesso film a Firenze. In tutti questi casi un contenuto sgradito a Kiev è stato fermato, spostato o attaccato.
A Bologna l’amministrazione è arrivata a rompere con i Verdi che difendevano la libertà di proiezione e, a distanza di un anno, è stata persino revocata la concessione dello spazio all’associazione Villa Paradiso che aveva promosso l’evento.
A Firenze Nardella ha contattato direttamente il teatro per chiedere di annullare la proiezione. In parallelo, più sale italiane hanno rinunciato a proiezioni di documentari di RT dopo pressioni, campagne online e anche minacce. Il caso di Vetralla, riportato anche da agenzie internazionali, è chiarissimo. Il gestore ha ricevuto minacce anonime per la proiezione del documentario di RT I bambini del Donbass e ha dovuto tirarsi indietro. Tutto questo non è altro che il terreno ideale su cui una lettera come quella di Kiev può funzionare. Se le amministrazioni italiane sono già disponibili a bloccare film russi, basta un ulteriore impulso diplomatico per trasformare la pressione in prassi.

