Se la pandemia non fa più notizia, i televirologi si mettono a parlare di guerra

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(Alessandro RicoLa Verità) – Non è che aveva ragione Checco Zalone? «il bollettino non fa più notizia, e Fabio Fazio mi ha tolto l’amicizia». I televirologi stanno scoprendo la dura legge dei media. I quali, come il dio Kronos, divorano i propri figli. Con la guerra in Ucraina che ha scalzato il Covid nelle breaking news, si spengono i riflettori sugli scienziati «narcisisti» (Matteo Bassetti dixit). Hai voglia ad avvisare il mondo che la pandemia non è finita (Oms), che il green pass tornerà utile in autunno (Ilaria Capua), che servono ancora mascherine e distanziamento (Gianni Rezza), che bisogna aprire con gradualità (Roberto Speranza). Sotto le bombe di Vladimir Putin è stata sepolta pure la famigerata «infodemia».

I televirologi diventano analisti di geopolitica

E allora, urge un piano B: economia di guerra. Riconvertirsi, da televirologi, a sopraffini analisti di geopolitica. S’ era portato avanti Massimo Galli, che già a cavallo di San Valentino discettava, a Stasera Italia, di «disgregazione dell’impero russo» e «compromesso internazionale».

Dopo il Kissinger in salsa monoclonale, si sono fatti avanti i colleghi. Fabrizio Pregliasco si preoccupa del fatto che le guerre «amplificano le malattie infettive a trasmissione feco-orale». Insieme ai missili Stinger e agli elmetti, l’Europa consegni il messaggio ai soldati ucraini: se vi passate il kalashnikov, prima igienizzatevi le mani con l’Amuchina. E soprattutto, non grattatevi mai dove non batte il sole…Nino Cartabellotta, che non è esperto di relazioni internazionali come non lo è di virus, affida a Twitter le sue osservazioni.

Spaziando dalla «risposta alle sanzioni» dello zar, che per reazione schiera le «forze di deterrenza nucleare», alla tirata di orecchie a Joe Biden: «Parla di terza guerra mondiale con una disinvoltura agghiacciante. Fermateli». Si stava meglio quando si stava peggio. Quando la guerra era quella al nemico invisibile, mentre i teledottori erano molto, molto visibili. Decisamente più raffinata Antonella Viola, già accreditata opinionista femminista, grazie a un editoriale sulla parità di genere tra le statue del Prato della Valle a Padova. Adesso, sulla Stampa, l’immunologa esamina le guerre come «amplificatori di contagio».

E poi, planando sopra otto anni di tensioni nel Donbass e trent’ anni di allargamento della Nato a Est, spiega che l’invasione è la mossa di Putin per nascondere gli effetti di una maldestra gestione del Covid. Un po’ come quando Donald Trump se la prendeva con il laboratorio di Wuhan. «Gli spunti che ci vengono dalla storia e dalle scienze», chiosa, «ci dovrebbero indurre a non sottovalutare la lunga relazione tra microbi e conflitti bellici». Armi, acciaio, malattie.

E qualche amnesia: non era stata proprio la Viola, lo scorso luglio, a scrivere che Massimo Cacciari e Giorgio Agamben non potevano parlare di virus e vaccini, perché sono due filosofi? Lei, nel frattempo, ha preso la laurea in tuttologia? Pazienza. I telescienziati li dobbiamo capire. Questo è il canto del cigno, anzi, del medico caduto nell’oblio: Putin killed the virostar. «Pandemia, se te ne vai via, lavo i piatti in qualche pizzeria». O mi metto a competere con l’armata russa: facciamo a gara a chi la spara più grossa.

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