Dovevano adottare bambini, 52 italiani bloccati in Congo da un mese

congo6 dic – Italiani bloccati in Congo: “Siamo qui per adottare, ma non risuciamo a tornare”
Cinquantadue cittadini italiani da un mese sono bloccati a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo. Sono genitori adottivi in attesa di poter rientrare in patria insieme ai loro figli.

I genitori si appellano alle autorità italiane. Le coppie di italiani bloccate a Kinshasa non riescono ancora a tornare in Italia con i loro 32 bimbi adottati a causa di lungaggini burocratiche. Neanche l’intervento del ministro per l’Integrazione, Cecile Kyenge è riuscito a sbloccare, come era apparso in un primo momento, l’iter per la conclusione delle adozioni. Le autorità locali hanno paura che i piccoli possano essere poi riadottati.

Dal nostro Ministero degli Esteri fanno sapere che conoscono il problema e che sono “intenzionati a promuovere ogni iniziativa utile per favorire il pronto rientro in Italia di genitori e bambini”.

Come racconta una delle sfortunate signore protagoniste della vicenda a Il Giorno: “Le famiglie sono sparse per Kinshasa: alcune in piccoli residence altri in albergo altri ancora in orfanotrofio. Le condizioni quindi variano. Noi per esempio, pagando salato, possiamo avere il necessario: dai medicinali alla pasta. Certo spesso manca la luce o l’acqua corrente ma questa è l’Africa”.

Si stanno “svenando” economicamente. A settembre le autorità congolesi avevano bloccato le adozioni per sapere che fine facessero i bimbi. Poi il viaggio della Kyenge aveva sbloccato le cose, così chi era fermo in Africa è rientrato, chi invece aveva già realizzato l’adozione era andato in Congo, non riuscendo più a tornare in Italia.

“L’autorità congolese che rilascia i visti di uscita per i bambini ha bloccato il suo lavoro da due settimane e quindi sono qui in attesa con altre coppie – racconta al Fatto Quotidiano Maura Prianti, neo mamma di due bambine – ma dall’Italia tutto tace”. Ma che c’entra l’Italia? “Se io sono qui e se qui ci sono altri 51 cittadini italiani insieme ai loro figli, che già hanno un cognome italiano, è perché la Commissione per le adozioni internazionali (Cai), ha deciso che potevamo partire per venire finalmente ad abbracciare i nostri figli”, spiega Maura, che poi continua: “L’ambasciata italiana a Kinshasa non lo sapeva? Mi sembra strano, ma se due organismi ufficiali dello Stato italiano non si parlano non è un problema mio, né delle mie figlie. Loro sono mie figlie perché ben due sentenze di due tribunali congolesi dicono che lo sono. Lo confermano i timbri dei vari ministeri congolesi, oltreché l’autorizzazione all’ingresso e alla residenza permanente rilasciata dal mio Stato”.

Al Giorno Maria dice che se potesse sposterebbe le montagne per i suoi e per gli altri bambini.

“Hanno diritto a una famiglia. Non capiscono cosa stia succedendo e hanno paura. Hanno paura che li lasciamo. Vogliono andare a casa in Italia”

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