La denatalitĂ italiana è al limite. Rischiamo l’estinzione e di diventare solo un paradiso per ricchi. La politica che fa? La polemica sulla âsostituzione etnica di Lollobrigidaâ
di Antonio Amorosi per www.affaritaliani.it – Tutti applaudono lâorchestra sul Titanic, mentre affonda. Tra poche generazioni gli italiani potrebbero diventare solo un brand mondiale e non essere piĂš una popolazione. Ma chi se ne frega, non câè alcun dramma, non lo dicono i media mainstream. Come scrisse quel genio di Marcello Marchesi, ricordato di recente: âSe uno potesse apparire in video tutte le sere alla stessa ora a dire âMangiate un cucchiaio di merda, che fa beneâ dopo un mese tutti la mangeremmoâ.
Il declino della natalità è iniziato nel 2009 e sta proseguendo anno dopo anno. Il tasso medio di natalitĂ nel mondo è stimato a 17,5 nascite ogni 1.000 abitanti. In Italia nascono 7 bambini su 1.000 a fronte di 12 morti. Facile intuire lâepilogo.
Di recente il giornalista Peppe Rinaldi ha pubblicato per Tempi un reportage su Amalfi: rischia lâestinzione in 20, 30 anni. Stesso esito per la Costiera Amalfitana: Vietri sul mare, Cetara, Maiori, Minori, Tramonti, Conca deâ Marini, Amalfi, Scala, Ravello, Atrani, Praiano, Positano, Furore. Paesaggi mozzafiato, cultura millenaria, cibo da urlo ma quasi piĂš nessuno può permettersi di abitarci. Anche a Venezia il crollo è verticale, scesa sotto i 50.000 abitanti, perdendo due residenti al giorno.
Ovvio: se accetti che delle meraviglie diventino solo business e non luoghi da abitate, la gente comune migrerĂ altrove o resisterĂ non potendosi permettere figli. Eâ la nostra storia recente. La catastrofe italiana a Cetara diventa ecatombe: 3 nati nel 2021 e tanti morti. Restano gli anziani e le societĂ che fanno business.
Se da decenni non câè alcun welfare per invertire la tendenza, come ha spiegato di recente il ministro dellâAgricoltura Francesco Lollobrigida aggiungendo ânon possiamo arrenderci allâidea della sostituzione etnicaâ… si dice âvabbè, gli italiani fanno meno figli e li sostituiamo con qualcun altroâ, il risultato finale è inevitabile. Scandalo: ha parlato di sostituzione etnica! E cosa sarebbe altrimenti, quando importiamo forza lavoro immigrata che nessuno ha risorse adeguate per integrare? Che giustamente tutto hanno come prioritĂ fuorchĂŠ portare il marchio dellâItalia nel mondo, con il suo portato di cultura, arte, bellezza, paesaggi mozzafiato, eleganza, gusto, ingegno, lavoro, socialitĂ ?
Viviamo immersi nella bellezza, come nessuno sul pianeta, una qualitĂ di cui in Italia può usufruire anche chi è povero, non solo i ricconi. Ma gli immigrati non sono italiani, tanti vivono in ghetti riproducendo nel Belpaese le proprie culture, lo Stato non interagisce con le loro famiglie se non in termini vessatori, i loro figli sanno poco di dove vivono, la globalizzazione dĂ loro ancora meno contatti col territorio e chi prova a fare lâitaliano di seconda-terza generazione si prende pure delle pernacchie e delle angherie. Siamo tutti meticci e un miscuglio di culture antiche ma non per questo chi è cresciuto e vissuto in Italia ha lo stesso portato culturale di chi lo ha fatto in una regione della Cina, in Sudafrica, negli Stati Uniti o in qualsiasi altro interessante luogo del mondo. Ma sĂŹ sa, nel nostro tempo l’ottusitĂ ideologica è diventata intelligenza intellettuale, questione che fa almeno ridere o ricrederci sull’intelligenza.
Chi tiene alta la bandiera e sembra comprendere la qualitĂ italiana sono le ricche star straniere. Sting in Toscana a Palagio, colline tra Firenze e Arezzo, produce olio e vino. Prima di lui lo facevano i vecchi toscanacci finiti allâospizio. Qualche anno fa The Telegraph raccontò che il musicista consentiva la possibilitĂ di usufruire del suo enoturismo e di vendemmiare pagando una cifra di 208 sterline al giorno (262 euro). Unâaltra icona, Jim Kerr dei Simple Minds, vive a Taormina dove gestisce un hotel chiamato “Villa Angela”, acquistato nel 2000. Fategli parlare dellâItalia: gli luccicano gli occhi. Non si tratta di avere una casa in Italia ma di produrre con la mentalitĂ italiana. Come Helen Mirren che nella sua masseria a Tiggiano, in Puglia, ha 400 piante di melograno e vuole fare succo bio. Lâultimo è lâolio made in Marche del chitarrista dei Radiohead âJonnyâ Greenwood (due nomination agli Oscar). âMejo de cuscĂŹ non se trova. Jemo a magnĂ ”. Questo il suo annuncio sul web, in dialetto marchigiano, per lâolio che produce con la famiglia nel Fermano, venduto a 60 sterline al litro (68 euro). Racconta la socialitĂ degli italiani, la bellezza del nostro universo paesaggistico e artistico.
Eâ caro? Fa male? No, fa benissimo! Sono gli italiani che non comprendono appieno la potente qualitĂ della propria cultura che dovrebbero gestire a peso dâoro, forse perchĂŠ viaggiano poco e non vedono cosa câè fuori. Non tanto per far diventare lâItalia un enorme parco delle meraviglie per ricchi ma per riuscire a mantenere viva quella bellezza in cui sono immersi e di cui sono portatori. âPer forza vengono in Italiaâ, spiega ad Affaritaliani Angelo, veterinario di origini bolognesi trasferitosi in UK per lavoro, âqui non câè il nostro vivere quotidiano, non parlo neanche di clima e bellezza, non câè neanche la socialitĂ in cui sono cresciuto. Non vi rendete conto, nessuno osa mettere neanche la mano sulla spalla a qualcun altro. Al massino, con il grigiore in cui si vive, si va nei fine settimana al pub a sbronzarsi. E poi il nostro cibo, il vino, lâolio che è eccezionaleâ.
âolio appunto, unâalimento che in Italia può diventare sublime.
Numerose ricerche cliniche hanno dimostrato che l’idrossitirosolo dellâolio extravergine può rigenerare le cellule umane. Negli Stati Uniti sull’olio italiano viene attaccata la targhetta che lo indica come alimento che fa bene alla salute, noi non lo facciamo. La condizione dellâolio è forse un sintomo di come arranchiamo. LâItalia ha una gamma di oli che il mondo ci invidia, eccellenze dal punto di vista qualitativo che le star vengono a produrre e vendere al prezzo che meritano. Ma non sempre la produzione popolare è extravergine.
Nel 2019 però, dopo lâenoturismo, è nato lâoleoturismo, con una legge voluta dal parlamentare Dario StefĂ no. Permette di visitare uliveti e frantoi, degustare lâultra qualitĂ oleifera, viaggiare tra le produzione, conoscere la cultura dei territori circostanti, lâarte millenaria che ci sta dietro e quella dei territori con lâarchitettura, la storia, le tradizioni, il bello e la gente che ci vive, disciplinando tutte le attivitĂ . Potrebbe diventare un volano per coloro che vogliono far diventare questo racconto dellâItalia di qualitĂ unâattivitĂ , possidenti o meno.
Siamo a metĂ del 2023 e solo 4 regioni (Toscana, Veneto, Liguria, Puglia) hanno adottato la norma. Le Marche lo stanno per fare ma nelle bozze dicono che basta un terreno con ulivi ed essere imprenditori agricoli per fare oleoturismo, anche se poi si produce sansa. Chi ha un sapere intorno allâulivo non può, compresi i degustatori professionisti, anche quelli formati dallo stesso ente. âAbbiamo proposto delle modifiche e speriamo la Regione le accolgaâ, dice ad Affaritaliani Giorgio Sorcinelli, segretario nazionale di OLEA, associazione di assaggiatori professionisti âora câè a livello internazionale un movimento contro lâItalia, i nostri prodotti, la nostra terra. Mi auguro che i nuovi governanti facciano delle cose concrete, valorizzando chi produce e lavora nella qualitĂ italiana. Faccio un solo esempio: abbiamo un olio incredibile ma lâItalia non ha un politica olivicola nazionale. Neanche oggi. So che si sta muovendo qualcosa ma quando arriverĂ ?â. Mentre aspettiamo speriamo di non esserci estinti.

