Coronavirus, indice di contagio: regione peggiore l’Emilia Romagna

Lorenzo Mottola – Il governatore Stefano Bonaccini è sicuramente un politico fortunato. La sua Regione è stata la prima colpita da una denuncia presentata da medici e infermieri per la cronica mancanza di dispositivi di protezione (mascherine, guanti etc.) nelle strutture sanitarie, ma praticamente nessun giornale ne ha parlato. La Provincia di Piacenza è quella con il più alto numero di vittime rispetto alla popolazione, in sintesi una strage, ma televisioni e quotidiani si sono accorti solo di Bergamo, Brescia e al massimo di New York.

Le case di riposo romagnole sono quelle messe peggio in Italia, con un tasso di mortalità che ricorda una campagna di Annibale, ma alla fine non c’ è un’ anima fuori da Bologna e dintorni che abbia provato a presentare questi numeri come un fallimento. Anzi, a Milano si indaga sul Trivulzio, eppure ci sono ospizi della regione più rossa d’ Italia (come quello di cui tratta il pezzo di Lorenzo Gottardo qui sotto) dove infermieri e sindacati hanno denunciato fatti e disservizi sostanzialmente identici a quelli della Baggina, ma nessuno giustamente si sogna di mettersi a ordinare perquisizioni tra le corsie nel corso di una pandemia.

E ancora. Le autorità sanitarie emiliane hanno clamorosamente steccato le previsioni sulla diffusione del contagio. Licia Petropulacos, direttrice della Sanità in Regione, a fine gennaio annunciava che «la probabilità che il virus si diffonda e faccia vittime in regione è bassissima, quasi zero. In Emilia-Romagna ci preoccupa di più l’ influenza del coronavirus». Pochi, però, lo trovano un fatto curioso. Anzi, Attilio Fontana, che al contrario aveva chiesto di istituire quarantene per chi arrivava dalla Cina, passa per un retrogrado e un pessimo amministratore circondato da allocchi.
Quando invece Bonaccini parla tutti prendono appunti, perché lui l’ emergenza l’ ha gestita alla grande.

Attacco al privato – In realtà la crisi in Emilia Romagna ha dimostrato che il modello sanitario impostato negli anni dalla Lombardia – ovvero il sistema misto pubblico-privato – non c’ entra molto con quanto successo. L’ unica misura che ha funzionato è il cosiddetto “distanziamento sociale”.
In altre parole, chi ha tirato su muri si è salvato. Invece tanti a Roma – sia nel Pd che nei Cinquestelle – hanno approfittato di quanto successo in questi mesi per annunciare la necessità di un ritorno alla bella sanità statale. Una favola cui giusto una sardina può abboccare. Anzi, se gli ospedali non hanno retto è soprattutto per i continui tagli cui i nostri amministratori locali sono stati costretti dal governo centrale in questi anni per tappare buchi di bilancio.

In Emilia Romagna «i posti di Terapia Intensiva negli ultimi 15 anni sono passati da 1080 a 440. Sono stati chiusi ospedali, ridotti posti letto e personale», denuncia la lettera di un’ associazione che pubblichiamo qui a fianco. Fatti che, però, non dipendono certo dalla cattiva volontà del governatore. Se c’ è una certezza è che in mano allo Stato centrale la pratica sarebbe stata amministrata anche peggio. «Sono prontissimo anche a fare un ragionamento di una ridiscussione delle istituzioni, ma chi pensa che si debba riportare la gestione della sanità a Roma non conosce quella dell’ Emilia-Romagna», ha detto qualche giorno fa Bonaccini.
Almeno una cosa l’ ha imbroccata.

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