Il deserto dei barbari

di Aldo Grandi

Tranquilli. Non siamo a Cefalonia nel settembre 1943 quando una divisione, la Acqui, venne trucidata dai nazisti all’indomani della firma dell’armistizio dell’Italia con gli angloamericani. E, almeno per il momento, non c’è, come allora, una classe dirigente – la monarchia, lo stato maggiore, il governo – in fuga verso Pescara dopo aver tradito e lasciato solo, in balìa dei tedeschi, il popolo italiano, esempio mai più raggiunto del più alto tasso di vigliaccheria storica. No, siamo, soltanto alle nostre latitudini temperate ai tempi del coronavirus. Con uno stivale sfasciato e preso a calci da tutti, persino dai diseredati che, a questo mondo, fino a ieri imbarcavamo a migliaia convinti che ci avrebbero pagato (sic!) le pensioni e ripopolato nemmeno fossimo stati un allevamento di polli in batteria.

Non si poteva, un tempo, parlare male di Garibaldi e, oggi, non si può tacciare questo governo di incapacità e anche peggio, pena passare per disfattisti, razzisti, fascisti, nichilisti e via di questo passo. La realtà, per fortuna, è sotto gli occhi di tutti: grottesca, ma terribilmente vera. Siamo un popolo di appestati, gli untori del globo, ancora peggio dei cinesi che, a pensarci bene, si fanno i fatti propri e di quello che succede nel resto del pianeta se ne fottono altamente. Noi no, noi dobbiamo autoflagellarci e i risultati si vedono. Eccome.

Nessuno vuole venire a trovarci, ma, in particolare, nessuno vuole che andiamo a fargli visita. Non vogliono nemmeno i nostri arbitri di calcio per le partite internazionali. Abbiamo mantenuto, lautamente, spendendo qui e là e distribuendo pani e pesci nemmeno fossimo stati, per decenni, i nuovi messia, girando il mondo in lungo e in largo in hotel e resort a 5 stelle e, adesso, ci ringraziano vietandoci l’ingresso e prendendoci, sostanzialmente, a calci nel sedere.

Questa classe di politica senza nerbo né orgoglio nazionali si è prostituita chiedendo di poter ricevere le mascherine per proteggere gli italiani dalla diffusione del virus e, per tutta risposta, Francia e Germania hanno risposto picche, che le mascherine che producono, intanto, se le tengono loro. E noi costretti a rivolgerci al Sudafrica. E’ questo lo spirito che anima l’Unione Europea? Allora avevano ragione coloro che sostenevano che si trattava solamente di una unione monetaria dove gli interessi delle élites finanziarie dominavano ogni tipo di sentimento. Noi non ne abbiamo mai avuto dubbi, ma gli italiani, questo popolo di beoti e di opportunisti senza spina dorsale?

Adesso abbiamo anche appreso, fresca fresca, la notizia che tutti i dirigenti delle federazioni di sport invernali del mondo, eccetto una – la nostra – hanno sputato sulle finali di coppa del mondo di sci che avrebbero dovuto tenersi a Cortina. Non ci vogliono e ci evitano. Siamo, a dirla tutta, un paese di merda per chiunque ha a che fare con noi. Eppure, fino a quando accoglievamo cani e porci alle frontiere tutto andava bene e i politicanti europei, tedeschi in primis, si sciacquavano la bocca in sperticate lodi per i governi del Puffo fiorentino il quale, tradendo il proprio paese, apriva i confini in cambio di un occhio di riguardo sui nostri conti pubblici devastati dal parassitismo di decenni di occupazione partitica.

E siamo appena all’inizio gente. Se il coronavirus continuerà nella sua corsa al contagio, l’Italia si trasformerà in un ghetto permanente. Se una lezione, tuttavia, questa vicenda dovrebbe insegnarci, è che, al di là del politicamente corretto e dell’ipocrisia imperante, ogni stato deve poter contare solamente su se stesso perché se è il primo a perdere la fiducia in se stesso e a chiedere l’elemosina come sta facendo, non può, poi, pretendere che gli altri abbiano stima e rispetto di lui. Vale per gli esseri umani, ma anche per gli stati.

Torna qui, preponderante, il concetto di sovranità, mai trascurato da una delle poche menti libere e indipendenti che, a livello intellettuale, questo paese abbia mai avuto negli ultimi decenni: Ida Magli e, se vogliamo, aggiungiamoci anche Oriana Fallaci, straordinario esempio di autonomia dell’intelligenza.

Così come i singoli individui, nella convinzione di acquisire maggiore potere e indipendenza, si sono indebitati ipotecando la propria vita e i propri beni con le banche, veri e propri avvoltoi legalizzati, così gli stati, Italia per prima, si sono venduti agli organismi sovranazionali cedendo loro l’unica cosa che li rendeva degni di questo nome e di governare le proprie comunità di individui: la sovranità. Oggi quest’ultima non esiste più, almeno per quei paesi, come il nostro, che si sono venduti anche l’anima e hanno voluto mangiare, ad ogni costo, l’uovo in culo alla gallina.

Che senso ha uno stato che non può gestirsi da sé e che, per poter sopravvivere, svende tutto quello che, in casa propria, ha più valore? Che razza di padre di famiglia è se è capace solamente di spremere i suoi figli riducendoli alla fame e alla disperazione? Questo è, oggi, il nostro governo e questa è, oggi, la classe politica che ci meritiamo e che, in fondo, ci siamo sempre meritati.

Cosa fare, quindi, per poter tornare a credere in noi stessi? Innanzitutto riscoprire l’orgoglio nazionale che, ormai, con la scusa dell’internazionalismo e della solidarietà se ne è andato a quel paese da un pezzo. Orgoglio nazionale che non vuol dire nazionalismo esasperato, ma sincera devozione ad una patria – con la p minuscola però – che tanto ci ha dato nei suoi millenni e che altrettanto merita di ricevere in cambio. Quindi, via da tutti gli organismi sovranazionali, Onu e Ue compresi. Si torni a battere moneta perché uno stato che non ha una moneta propria non ha ragione di esistere. Poi, chiudere le frontiere all’arrivo di disgraziati senza arte né parte. Non li vogliamo, non li possiamo mantenere né abbiamo intenzione di farci, etnicamente, sostituire come desidererebbero i bastardi verniciati di rosso. Inoltre, mettere mano al’economia del paese, restituendo valore a chi produce ricchezza e competitività, ma, in particolare, a chi merita, sia esso lavoratore o imprenditore, studente o insegnante. Infine, cercare di restituire all’uomo della strada quel senso di unità e di condivisione verso lo stato che le classi dirigenti italiane non sono mai riuscite, salvo periodi rari e brevi, a trasmettere.

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