Migrare non è un diritto

di Andrea Indini

Ho sempre inteso la frontiera come il confine ultimo dello Stato. Si può entrare e uscire. Ma, proprio come le mura di casa, si erge (invisibile) a proteggere chi sta dentro. Sono nato quando c’erano ancora i controlli all’uscita di Ventimiglia, prima di raggiungere l’assolata Costa Azzurra. Da allora il mondo ha fatto a tempo ad aprirsi e poi a richiudersi. La “libera circolazione” ha dato la parvenza di un’Europa aperta e inclusiva. Ma è stata appunto un’illusione. Che si è inesorabilmente schiantata prima contro gli agghiaccianti attentati alle Torri Gemelle e alle principali capitali europee e poi contro l’inarrestabile avanzata di immigrati dall’Africa e da Oriente. Allora si è capito che quei confini andavano difesi.

Non esiste il diritto a emigrare. È una baggianata inventata dalla sinistra per meri fini propagandistici. Le Nazioni Unite non hanno fatto altro che avallare questa scempiaggine inventandosi il Global Migration Compact, un documento che ha come obiettivo primario l’abbattimento delle barriere per aiutare chi vuole a emigrare e a raggiungere, in sicurezza, qualunque Paese desideri. La risoluzione consta di 23 articoli che sono un vero e proprio guazzabuglio di direttive in salsa terzomondista e che non guarda in faccia ai disastri creati dai progressisti dopo cinque anni di politiche improntate sull’apertura e sull’accoglienza. Non solo. Si ripropone anche di andare a caccia di razzisti e xenofobi per poi poterli mettere al bando e “sensibilizzare e istruire i professionisti dei media a una terminologia e informazione etica”.

Nonostante lo sfacelo a cui tutti noi abbiano assistito negli ultimi anni, nei prossimi giorni l’Onu chiederà ai governi di apporre una firma sotto il documento del “Global Compact”. Si ritroveranno il 10-11 dicembre a Marrakech per mettere in piedi questa pagliacciata. Fortunatamente, dopo che il premier Giuseppe Conte si era detto favorevole a questa risoluzione, Matteo Salvini ha puntato i piedi e obbligato il governo a una sterzata. Decidere di non firmare è una mossa squisitamente politica che non metterà il Paese al riparo da una futura invasione né risolverà i problemi legati alla gestione degli immigrati già presenti sul nostro territorio. Servirà, tuttavia, a rimarcare plasticamente le distanze da un modo di pensare fallimentare che sta portando lentamente all’implosione del Vecchio Continente. Il “Global Compact” punta, infatti, a “un approccio cooperativo per ottimizzare i benefici complessivi della migrazione, affrontando i rischi e le sfide per gli individui e le comunità nei Paesi di origine, transito e destinazione”. È per tutto questo che il documento fa gola anche all’ala sinistra del Movimento 5 Stelle. Non sono pochi, infatti, i grillini che in queste ore stanno facendo pressioni su Conte per evitare che diserti Marrakech.

Come già il braccio di ferro sul decreto Sicurezza, anche lo scontro sul Global Compact svela il vero animo della fronda vicina al presidente della Camera, Roberto Fico. Difficile dire se, in caso di voto in parlamento, questi non si prenderebbero la briga di strappare votando con il Pd e Leu. Una rottura che porterebbe inevitabilmente alla crisi di governo. Al di là delle beghe di governo, la divisione sul documento delle Nazioni Uniti materializza, ancora, due visioni opposte del mondo. Qualora dovesse passare, il Global Compact farebbe carta straccia della Convenzione di Ginevra che stabilisce che può essere accolto perché in fuga da guerre o carestie e chi invece deve essere respinto. Si arriverebbe addirittura a “ri-arruolare” le Ong perché diventerebbe legale qualsiasi assistenza di natura umanitaria. Una firma in fondo a quel documento sarebbe dunque una sconfitta per tutti perché trasformerebbe le migrazioni in un diritto inalienabile devastando quello che, a mio avviso, deve restare una delle priorità di qualsiasi Stato: la difesa dei confini.

blog.ilgiornale.it/indini

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