L’animalista Singer: sopprimere i bimbi gravemente disabili per ridurre i costi della sanità

Peter Singer, il filosofo della Liberazione animale, fautore della linea della “parità” tra uomini e bestie, inventore del termine “specismo” (che poi sarebbe il razzismo dell’umanità verso le altre creature), docente di Etica all’Università di Princeton, è tornato a ribadire con convinzione in una intervista radiofonica le sue famigerate tesi sull’infanticidio dei bambini handicappati, misura che per il professore australiano trapiantato negli Stati Uniti sarebbe necessaria nella logica del rapporto tra costi e benefici, tanto da rendere «ragionevole» per il governo e le compagnie assicurative l’ipotesi di negare le coperture per la cura dei neonati gravemente disabili.

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DIRITTO ALLA VITA? Stralci della conversazione di Singer con il giornalista investigativo Aaron Klein, trasmessa da due emittenti di New York e di Philadelphia, sono riportati in un articolo del WorldNetDaily (del quale Klein è collaboratore). Nel corso dell’intervista, sottolinea il Wnd, il professore ha designato ripetutamente il bambino disabile con il pronome neutro “it”, quello, per intenderci, che serve nella lingua inglese per indicare le cose e gli animali. Del resto, ricorda sempre il giornale americano, è noto che nel Singer-pensiero e nella Singer-etica il diritto alla vita dovrebbe essere subordinato alla capacità intellettiva della creatura, che si traduce nella capacità di esprimere preferenze.

«SPENDIAMO IL DOPPIO DI ALTRI». Klein ha chiesto a Singer se creda che con l’Obamacare queste sue tesi estremiste sulla “razionalizzazione” della spesa sanitaria prevarranno, e il pensatore di Princeton ha risposto che stanno già prevalendo perché già oggi molte delle decisioni prese dai medici sono dettate dall’esigenza di ridurre i costi. Anche negli Stati Uniti questo avviene, solo «non apertamente», ha detto Singer. «E il risultato è che l’America spende il doppio di altri paesi per ottenere molto poco beneficio in termini di risultati».

FARDELLI E SOLUZIONI. Anche la sostenibilità etica della soppressione dei disabili gravi attraverso l’«eutanasia non volontaria», secondo Singer, è una linea di pensiero destinata a spuntarla. Non solo con la riforma di Obama il rifiuto di curare i neonati malformati diventerà più comune, sostiene il prof di Princeton, ma si sta diffondendo già adesso. E «non necessariamente per via dei costi».

Ecco le sue parole:

«Se un bambino nasce con una massiccia emorragia cerebrale significa che resterà così gravemente disabile che in caso di sopravvivenza non sarà mai in grado nemmeno di riconoscere sua madre, non sarà in grado di interagire con nessun altro essere umano, se ne starà semplicemente sdraiato lì sul letto e potrà essere nutrito, ma questo è quel che avverrà, i dottori staccheranno il respiratore che tiene in vita il bambino. Non so se essi siano influenzati dalla necessità di ridurre i costi. Probabilmente sono influenzati semplicemente dal fatto che per i genitori quello sarà un fardello terribile, e per il figlio non ci sarà alcuna qualità della vita. Quindi stiamo già compiendo dei passi che portano alla terminazione consapevole e intenzionale della vita dei bambini gravemente disabili».

NON VOGLIO PAGARE DI PIÙ. Di più, un’eventuale futura istituzionalizzazione di questa pratica è auspicabile, secondo il filosofo. Trovandosi alle prese con pazienti per i quali le cure esistenti «non consentono di ottenere sufficienti benefici a fronte delle spese sostenute», allora per Singer sarebbe «ragionevole che i governi dicano: “Questo trattamento non sarà garantito dal sistema sanitario nazionale”. E penso che sarebbe ragionevole per le compagnie assicurative dire: “Sa, non la assicureremo per questo o non la assicureremo a meno che lei non sia preparato a pagare un premio extra”». Del resto per Singer «la maggioranza delle persone direbbe che è abbastanza ragionevole: non voglio che il premio della mia assicurazione sanitaria sia più alto per consentire a bambini che non potranno godere di alcuna qualità della vita di essere sottoposti a cure costose».

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