La Catalogna va al voto, malgrado il divieto di Madrid

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9 nov 2014 – La Catalogna va a votare, sia pure in modo del tutto informale, per rivendicare il diritto di poter decidere sul suo futuro politico rispetto alla Spagna, come e’ accaduto in Scozia: un voto in sostanziale violazione dei divieti imposti dal governo centrale di Madrid, che con due successivi ricorsi giudiziari ha fatto dichiarare incostituzionale qualsiasi consultazione popolare sull’indipendenza. Ma soprattutto il secondo divieto sembra aver sortito l’effetto opposto, e la mobilitazione dei catalani negli ultimi giorni e’ aumentata, con migliaia di volontari che hanno improvvisato dei veri e propri call center civici per convincere il numero piu’ alto possibile di persone a partecipare. Ieri sera la campagna a favore del voto si e’ conclusa a Barcellona con un atto a cui hanno preso parte decine di migliaia di persone.

“Dimostreremo che presto la Catalogna sara’ un Paese libero e indipendente”, ha gridato alla folla Carme Forcadell, presidente dell’Assemblea Nazionale Catalana. Per cercare di schivare eventuali azioni coercitive da parte di Madrid, il governo regionale catalano si appella al fatto che non solo la consultazione di domani non e’ giuridicamente vincolante, ma che oltretutto sara’ gestita da volontari della societa’ civile e non da funzionari pubblici.

Nonostante questo, sono continuati gli spot governativi che invitano i cittadini ad andare a votare e il presidente catalano Artur Mas, un nazionalista di centro che da pochi anni ha abbracciato la causa indipendentista, ha dichiarato apertamente che il suo governo non sospendera’ i preparativi del voto. D’altro canto l’esecutivo locale (la “Generalitat”, in catalano) ha insistito sul ruolo di due grandi associazioni della societa’ civile, l’Assemblea Nazionale Catalana e Omnium Cultural, che da piu’ di due anni guidano la mobilitazione separatista. Fatto sta che domani 41.000 volontari dovrebbero rendere possibili le operazioni di voto in centri pubblici e privati di 942 comuni sui 947 di cui e’ composta la Catalogna.

Il numero di locali abilitati al voto (1317) dovrebbe essere circa la meta’ rispetto quelli di un’elezione formale, per cui le file davanti ai “seggi” sembrano probabili. Data l’assenza di formalita’ della consultazione, per votare sara’ sufficiente presentare una carta d’identita’ valida da cui risulti la residenza in Catalogna, e potranno farlo anche i maggiori di 16 anni e gli stranieri residenti.

Il governo centrale a Madrid ha reagito alla notizia della disobbedienza civile catalana facendo scrivere dal prefetto della Catalogna una lettera alle autorita’ locali – inclusi i direttori delle scuole pubbliche – che ricorda loro “l’importanza” di rispettare e far rispettare le sentenze del Tribunale costituzionale. La violazione e’ punibile, per i componenti del governo regionale, con il divieto di ricoprire uffici pubblici. Ma nonostante tutto, sembra probabile che solo pochi fra i destinatari delle missive accolgano l’invito.

In teoria il governo spagnolo potrebbe ordinare alla polizia o alla Guardia civil di intervenire nei seggi o almeno in alcuni di essi, ma e’ cosciente del fatto che questo finirebbe col provocare una mobilitazione popolare ancora maggiore di quella, gia’ straordinaria, delle ultime settimane. Senza contare gli effetti negativi a livello di immagine internazionale per il Paese. Le dichiarazioni in proposito dei ministri dell’Interno e della Giustizia di Madrid sono rimaste sul filo dell’ambiguita’, ma hanno lasciato intendere che l’uso della forza dovrebbe essere evitato

. La polizia locale della Catalogna potrebbe invece intervenire, secondo quanto dichiarato dal ministro dell’Interno catalano, soltanto se ci fosse un ordine della Procura, eventualita’ da lui stesso considerata “remota”. Il governo conservatore del premier Mariano Rajoy ha definito la consultazione di domani come “priva di garanzie democratiche minime”, oltreché illegale ai sensi della costituzione spagnola, che riserva al governo centrale l’organizzazione di referendum giuridicamente vincolanti. A differenza del governo britannico, che ha negoziato con quello scozzese i termini di un referendum sull’indipendenza, preferendo battersi sul terreno elettorale per sventare una secessione, l’esecutivo del Partido popular si e’ arroccato su una posizione di difesa “legale” dell’unita’ nazionale, rifiutando di negoziare qualsiasi concessione di maggiore autonomia (soprattutto negli ambiti fiscale e scolastico).

I sondaggi in Catalogna indicano pero’ che questa strategia del muro contro muro non ha funzionato: circa l’80% dei catalani e’ a favore di una consultazione popolare, mentre la percentuale di chi voterebbe per un’indipendenza totale si aggira intorno al 50%. La domanda sulle schede, negoziata piu’ di un anno fa tra i partiti politici catalani, e’ infatti doppia: si chiede dapprima “Volete voi che la Catalogna diventi uno Stato?”. E in caso di risposta affermativa, si passa a un secondo quesito: “Volete voi che questo Stato sia indipendente?”. Circa il 70%, secondo un sondaggio di El Pais, risponderebbe “si'” almeno alla prima domanda, che prefigura l’idea di uno Stato autonomo di tipo confederale.

Da lunedi’ per la Catalogna e Madrid si apre un periodo complesso e di notevole instabilita’ politica. All’orizzonte della primavera sembrano esservi elezioni regionali anticipate che si preannunciano roventi, con il partito di Mas (la centrista Convergencia i Unio’, CiU) incalzato da sinistra dagli indipendentisti di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc) e la sinistra radicale indipendentista dei Cup (Candidatura de Unitat popular). Ma l’unita’ di questo delicato fronte politico in Catalogna dipendera’ in larga parte dai numeri di domani e dall’inclinazione del Partido Popular a Madrid di aprirsi a un – per il momento improbabile – negoziato con Barcellona. Motore dell’economia spagnola, di cui rappresenta circa un quinto del pil, la Catalogna ha grande autonomia di spesa, ma non ha potere di riscossione: a seguito della crisi, la regione ha dovuto attuare forti tagli a numerosi servizi – fra cui Sanita’ e Istruzione – ma continua a dover effettuare trasferimenti fiscali verso altre regioni spagnole in misura superiore alle altre comunita’ autonome, con un deficit fra quanto da’ e quanto riceve di 16 miliardi di euro.

Un altro motivo del crescente risentimento della popolazione catalana e’ stata la decisione presa nel 2010 dal tribunale costituzionale spagnolo, su ricorso della destra del Partido Popular (Pp), di dichiarare incostituzionali diversi articoli del nuovo Statuto di autonomia della Catalogna: questo era entrato in vigore nel 2006 dopo l’approvazione del parlamento catalano e di quello spagnolo – durante il governo del socialista José Luis Zapatero – e con referendum popolare in Catalogna. La Catalogna ha una forte identita’ culturale e linguistica, che si esprime nell’uso della lingua catalana. Gia’ durante l’epoca della Seconda Repubblica spagnola la regione fu protagonista di due successive proclamazioni di indipendenza, nel 1931 e nel 1934, per forzare la creazione di uno Stato federale in Spagna (un progetto gia’ tentato durante l’effimera Prima Repubblica, alla fine dell’Ottocento): la prima porto’ alla creazione di uno Statuto di autonomia regionale, mentre la seconda fu repressa militarmente da Madrid. ASCA

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