Libro di Massimo Campanini: Le rivolte arabe e l’islam.

La copertina di "La transizione incompiuta(di Luciana Borsatti) – Di fronte all’incalzare degli eventi di questi mesi – in cui la destituzione del presidente Morsi ha definitivamente infranto, almeno in Egitto, le prospettive di un futuro di governo per l’Islam politico – l’ultimo libro a cura di Massimo Campanini offre una preziosa occasione per fare un passo indietro, alle origini delle rivolte arabe del 2011. Intitolata ”Le rivolte arabe e l’Islam”, con il significativo sottotitolo “La transizione incompiuta”, (Il Mulino, 260 pp, 18 euro), questa raccolta di saggi offre infatti un’ampia panoramica sugli sviluppi degli ultimi due anni tra Tunisia, Libia, Egitto, Libano e Giordania, ponendo al centro dell’attenzione le potenzialità politiche di quell’Islam che, estraneo alla fase iniziale di quei moti, vi entrò ben presto da protagonista. Ma è proprio l’Egitto ad aver costituito il banco di prova principale dell’Islam di governo, con il progressivo aprirsi di quella voragine di consenso nei confronti della Fratellanza Musulmana al potere, che ha condotto alle manifestazioni di massa del 30 giugno e all’intervento dell’esercito. D’altra parte, come scrivono Gennaro Gervasio e Andrea Teti, la Fratellanza era di fronte ad un’impasse ”non soltanto riguardo alla politica economica, ma anche rispetto alla sua stessa identità come portatrice di valori islamici”.

Il suo primo anno di governo ha infatti visto la prosecuzione del modello economico dell’era Mubarak, un capitalismo ”oligarchico” piuttosto che un ”neoliberismo”, evidenziando l’incapacita’ di formulare un sistema alternativo ispirato alle proprie ”credenziali religiose”. Al tempo stesso, proprio queste ultime erano state messe in discussione dalla destra salafita entrata nell’agone politico, e che si poneva in scomoda concorrenza con i Fratelli musulmani non solo sul piano elettorale, ma anche su quello dell’osservanza di una visione integralistica dell’Islam. Alla luce degli ultimi sviluppi, dunque, appare ancora piu’ evidente il fallimento della Fratellanza rispetto alle aspettative piu’ profonde delle rivolte del 2011, quelle di una maggiore giustizia sociale, nutrite da grandi masse impoverite. In parallelo, la partecipazione di massa alla nuova rivolta anti-Morsi del 30 giugno scorso ha confermato come fosse ormai diffusamente percepito il ruolo controrivoluzionario della Fratellanza, di fatto una ”diversa incarnazione” del regime precedente.

In tutto questo, si e’ tornata a manifestare in tutta la sua potenza il ruolo delle elite militari, che in Egitto come in tutta l’area mediorientale – dalla Turchia alla Libia, dalla Tunisia all’Algeria e allo Yemen, ricorda Campanini – aveva gestito le transizioni verso lo stato post-coloniale. E che ha segnato, con diverse modalità, anche gli esiti delle rivolte del 2011. Tanto che, ancora in Egitto, prima di dar vita al controverso intervento che ha prima liquidato Morsi e poi represso nel sangue la resistenza dei suoi sostenitori, i vertici militari avevano dato un determinante contributo al braccio di ferro ingaggiato dalla magistratura contro il presidente islamista – salvo poi riguadagnarsi un ruolo di arbitro quando le tensioni stavano raggiungendo il punto di non ritorno. Ma se questi sono stati i principali attori in campo è anche perche’ le rivolte del 2011 possono essere paragonate, nell’analisi di Campanini, a ”tumulti” delle ”moltitudini”, in cui le forze secolari e di sinistra si sono mostrate ancora incapaci di esprimere una vera forza ”egemonica” e presentarsi come una valida leadership alternativa.

A riflettere su questa fase cruciale della storia dell’area mediterranea – nel volume curato dal docente di storia dei paesi islamici dell’università di Trento – anche Anthony Santilli, Moncef Djaziry, Arturo Varvelli, ‘Assem al-Dessuqi, Marco di Donato, Zaid Eyadat e Ahmad Moussalli. (ANSAmed

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