Perché il “Redemption Fund” è UNA FOLLIA

22 AGO – Si è fatta strada negli ultimi tempi l’idea di un Fondo di Redenzione come alternativa agli Eurobond. Ma se davvero fosse attuato, il 10% del PIL italiano dovrebbe, per 20 anni, andare al servizio (e all’estinzione) del debito: una follia per chiunque abbia una minima nozione di Macroeconomia e di Fiscalità.

di Alessandro Guzzini*

euro_bucoNelle ultime settimane sta girando sempre di più a livello Europeo l’idea di un fondo di redenzione del debito pubblico come strumento anti-crisi.
L’idea, inizialmente lanciata dai consiglieri della Merkel come alternativa degli Eurobond (che i tedeschi vedono come il fumo negli occhi), sta guadagnando ampi consensi anche tra i paesi periferici che lo considerano come un primo passo nella direzione di una condivisione del debito pubblico.
Come spesso accade però, la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni: l’abbiamo visto diverse volte nella gestione di questa crisi, che decisioni all’apparenza “innocue” o addirittura “positive” hanno messo in moto un circolo vizioso in grado di far sprofondare paesi fondamentalmente solidi.
Vediamo dunque come funzionerebbe (o meglio NON funzionerebbe) questo fondo.

L’idea dei tedeschi è di creare un fondo che acquisti il debito pubblico di ogni paese che ecceda il 60% del PIL dello stesso. Secondo i piani, il fondo dovrebbe avere una garanzia congiunta di tutti i paesi dell’Eurozona e dovrebbe finanziarsi emettendo titoli di debito sul mercato, che prevedibilmente avrebbero tassi molto bassi.
I diversi stati rimarrebbero comunque responsabili nel pagamento di capitale ed interessi dei titoli acquistati dal fondo, che anzi avrebbero un trattamento privilegiato, nel senso che alcune imposte (IVA?) andrebbero versate direttamente al fondo.
Il fondo andrebbe ammortizzato in 20 anni, quindi ogni anno ogni paese si dovrebbe impegnare a versare gli interessi (che rimarrebbero ugualmente elevati, non è previsto infatti una rimodulazione degli stessi essendo i titoli già emessi sul mercato) ed una quota del debito stesso.

Facendo l’esempio dell’Italia quindi, il fondo acquisterebbe un ammontare di debito pubblico pari a circa il 65% del PIL (quindi circa 1000 miliardi): ogni anno l’Italia dovrebbe versare al fondo quindi circa 50 miliardi come rimborso del capitale ed altri 40 circa a titolo di interesse; in pratica al fondo andrebbe versato ogni anno quasi il 6% del PIL.
Da notare che all’Italia poi rimarrebbe sempre in carico il 60% del proprio debito (sempre in rapporto al PIL): questo debito diventerebbe di fatto subordinato al primo ed è quindi evidente che i tassi di interesse sui nuovi titoli emessi salirebbero invece di scendere!
È probabile quindi che per servire il debito che rimarrebbe in carico direttamente al paese l’Italia dovrebbe, con tutta probabilità, spendere circa un altro 3-4% del proprio PIL.
In totale quindi il 10% del PIL italiano dovrebbe, per 20 anni, andare al servizio (e all’estinzione) del debito: chiunque abbia la minima nozione di Macroeconomia e di Fiscalità pubblica può capire come sia del tutto assurdo che ciò possa essere realizzabile!

Chi ci guadagnerebbe quindi da questo piano e chi ci perderebbe ?
Appare evidente che gli unici che si avvantaggerebbero del piano sono i creditori esteri (in particolare quindi le banche tedesche, che sono ancora piene di BTP): con ogni probabilità infatti cederebbero sul mercato i titoli al fondo ripulendo quindi i propri bilanci a bassissimo costo.
Nel breve forse si potrebbe avere anche un’illusoria riduzione nei tassi di interesse: quando però il povero tesoro italiano andrebbe a vendere i nuovi titoli (che ricordiamo sarebbero a questo punto subordinati ai primi!) è facile immaginare che troverebbe ben pochi compratori, al di fuori delle italiche banche che verrebbero certamente “incoraggiate” dalle nostre istituzioni.

Speriamo quindi che i nostri governanti, per una volta, non si facciano ingannare dalla “generosità” degli amici tedeschi, e che come sta giustamente facendo il presidente francese Hollande, trovino il coraggio di mettere dei punti fermi e di porre i tedeschi di fronte ad un ultimatum: o la Banca Centrale Europea riattiva il piano di acquisto del debito pubblico riportando i tassi ad un livello che consentano all’Italia di rimanere solvente, o è meglio rinegoziare subito il debito come suggerisce Zingales: in questa maniera almeno i sacrifici saranno condivisi dai nostri “cugini” Europei.
E se vogliamo fare un fondo di redenzione del debito, facciamocelo da solo, mettendoci dentro una parte del patrimonio pubblico, con la previsione di rimborsarlo con i proventi delle cessioni, senza pesare quindi sul bilancio pubblico, ma al contrario andando ad alleggerirlo.

* Amministratore Delegato FInlabo SIM  MICROMEGA

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