Luigi Preiti non è un terrorista. È peggio

sparat

di Antonio Giovanni Pesce da exnovo

29 apr – Luigi Preiti non è un terrorista. È peggio. Colui che ieri ha sparato contro la garitta dei carabinieri davanti Palazzo Chigi, è l’elemento più destabilizzante che il potere politico possa immaginarsi. L’elemento più pericoloso.

Non crede nel materialismo storico. Non pensa in termini di conflitto di classe. Non ha neppure pianificato una rivoluzione: la sua ha richiesto un buon vestito, per confondersi con la folla della domenica, ed una pistola dalla matricola abrasa. Appena sei proiettili, che hanno stesso due agenti. Si spera che il più grave possa farcela.

Voleva uccidere il potere che cammina con la gambe e che respira con i polmoni: voleva uccidere un politico, come da lui stesso confessato. Ha ridotto in fin di vita chi, dalla sua, ha solo il potere di compiere, fino in fondo, il proprio dovere. Ha sbagliato obiettivo, come capita spesso alle jacquerie, alla rivolta scomposta che si alimenta di odio e disperazione – due dei sentimenti più biechi, peraltro capaci di ottundere anche le menti più lucide.

Un misto di problemi famigliari e sociali, la separazione dalla moglie e la disoccupazione, non possono giustificare alcunché. Avrebbero dovuto mangiarsi tra loro i nostri nonni, e invece la tendenza era quella del comune aiuto. Altri tempi e altri valori. Tanto basterebbe per mettere a tacere i profeti della decrescita felice, il rewind del consumo pigiato dall’intellettuale impegnato nella revisione delle dottrine anticapitalistiche. La povertà (o il semplice sentimento di essere poveri) non è mai stata una scelta: la si subisce.

Al di là delle questioni filosofiche sollevate dal caso, rimangono quelle contingenti del momento sociale che stiamo attraversando. Le élites di questa nazione – se mai riusciranno a battere un colpo, sperando non sia l’ultimo – devono disarmare le folle di arrabbiati che, come paglia, bruciano per le strade e sulle piazze. Perché c’è la scintilla e c’è il vento.

La scintilla non è una scusa, è reale, e non averlo visto prima già indica il livello di imprudenza di chi governa. Passare per le vie che, fino a un lustro fa, pullulavano di ‘acquirenti’, e vederle ormai quasi deserte, invase solo da cartelli che annunciano la morte di qualche altra attività, fa sentire povero anche chi ha ancora ben più del necessario per sfamare qualche inutile desiderio. Non si può essere ricchi in una nazione di poveri.

Poi c’è il vento. Non si vede ma c’è, e fa sentire i suoi effetti. È il vento della resistenza continua, ormai slegata da ogni riferimento partitico. C’è il rancore di chi esalta pagine di storia e atti di eroismo che non ha potuto vivere, mentre attende in spasmodica attesa il proprio turno. Magari creandosi le occasioni a bella posta. Anacronismo politico, che al voto non crede se non quanto il risultato lo soddisfa, e in caso contrario rispolvera soluzioni ottocentesche, scambiando il proprio smodato arbitrio per tirannia del potere.

La violenza non rende attoniti, bensì sveglia. Davanti al gesto di questo disperato siamo tutti un po’ più desti. Gli idioti continueranno ad essere tali, ma saranno gli unici a non essere scossi nella loro fede in un ‘capro espiatorio’, che si addossi il male del mondo per l’instaurazione di un regno del popolo. Per tutti gli altri, è il momento di saper distinguere tra ragionamento politico e rancore psicologico. Col primo vivi bene anche con gli altri, con l’altro neppure con te stesso.

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