L’euro “tedesco” ci porterà alla rovina. Così diceva Napolitano nel ’78

 

27 apr – (lindipendenza) Fin dal lontano 1978 l’allora deputato del Pci Giorgio Napolitano denunciava tutte le sue perplessità sulla nascita della nuova moneta unica, quindici anni prima di Maastricht e dodici prima de “L’Euro minaccia la democrazia” dell’”ammazza-sindacati” Margaret Thatcher. Quelle perplessità oggi sembrano assumere il carattere della vera e propria profezia: infatti, già all’epoca  prevedeva che l’abbraccio tedesco sarebbe presto o tardi divenuto una morsa letale. Tali dichiarazioni si possono leggere nel resoconto stenografico della seduta dell’assemblea della Camera dei Deputati del 13 dicembre 1978, a partire da pagina 24992, durante una discussione riguardante l’adesione dell’Italia al Sistema Monetario Europeo, che sarebbe entrato in vigore quattro mesi dopo.

Si tratta di parole che sorprendono per la loro lucidità, poiché, senza tagliare di netto le gambe all’unione monetaria, spiegano, anzi, profetizzano il futuro dell’allora CEE a distanza di quarant’anni. Molto lucidamente, Giorgio Napolitano, pur non respingendo le idee europeiste, ricordava che la costruzione di una unione monetaria non poteva svolgersi in modo frettoloso e, citando il governatore della Banca d’Italia, ammoniva che «un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea».

I negoziati, spiegava Napolitano, presero però una piega sbagliata. Il colpevole? La Germania: «[…]dal vertice è venuta solo la conferma di una sostanziale resistenza dei Paesi più forti, della Germania, e in particolare della Banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi e sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie di paesi della Comunità. E’ così venuto alla luce un equivoco di fondo: se cioè il nuovo sistema debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, o debba servire a garantire il Paese più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania, spingendo un Paese come l’Italia alla deflazione.»

Insomma, Napolitano fin da allora aveva largamente previsto ciò che stiamo vivendo oggi e, trascorsi ormai trentacinque anni da quelle dichiarazioni, ora siamo esattamente a quel punto, con Paesi come i PIIGS in depressione economica e lentamente portati a quella destinazione finale, ovvero la deflazione, che la Grecia sta già cominciando a sperimentare. A rileggere oggi le preoccupazioni  dell’allora deputato Napolitano,  rieletto Presidente della Repubblica, si ha la netta percezione di leggere una cronaca dei giorni nostri:  parafrasando Napolitano, “non è che questa costruzione monetaria filo-tedesca finirà per intaccare le nostre riserve auree, portandoci a perdere competitività e quindi costringerci a svalutare la moneta?”. Ebbene, è esattamente quello che è accaduto negli anni successivi,  fino alla svalutazione della lira all’inizio degli anni Novanta. Va tuttavia precisato che,prima ancora dello SME, le maggiori colpe possono essere attribuite a tutti i governi che si sono succeduti in quegli anni in quanto, avendo avviato uno sviluppo rapido ma sbilenco del Paese, negli anni Settanta-Ottanta avevano già assunto la caratteristica di governi dediti alla corruzione.

E non finisce qui, Napolitano dopo aver previsto la svalutazione ricorda anche che l’Italia potrebbe essere costretta a «adottare drastiche manovre restrittive». Ecco che, con Romano Prodi alla presidenza del Consiglio e qualche barbatrucco contabile di Carlo Azeglio Ciampi, poi è spuntata l’eurotassa necessaria a far entrare l’Italia nell’Euro. Alla luce di quanto sopra, tutti gli europei  si stanno sempre più convincendo che il progetto dell’Europa dei padri fondatori è stato in realtà volutamente stravolto dall’idea iniziale, solo per favorire le politiche di una globalizzazione dei mercati senza regole, delle multinazionali e delle banche. In sostanza, prima ancora di costituire l’Europa politica e senza prevedere una crisi economica, credendo di poter controllare e dominare gli Stati economicamente, il sistema di potere europeo ha voluto manovrare con i trattati per imporre un modello di Europa che divenisse uno stato sovranazionale unico, non federale, ma statalista, dirigista, centralista e burocratico, ovvero una Europa senza Europei  e all’oscuro dei popoli che la abitano.

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