Prima del 1914, i governi regolavano le banche; dopo il 1918 furono le banche a dettare legge agli Stati
di Carmen Tortora – La versione che ci hanno insegnato è semplice: la Prima guerra mondiale distrusse un’economia mondiale prospera. In realtĂ , la salvò – o meglio, salvò le banche che stavano giĂ crollando. Nel 1913, prima che un solo colpo fosse sparato, il sistema finanziario europeo e americano era in pieno collasso: banche sovraesposte, riserve auree insufficienti, prestiti tossici a governi e progetti coloniali. Il panico era iniziato ben prima dell’attentato di Sarajevo. Cinquanta paesi avevano sperimentato fughe dai depositi e fallimenti simultanei. Il sistema era alla fine, e la guerra fornì la copertura perfetta per il piĂą grande salvataggio bancario della storia.
Con la dichiarazione di guerra, i governi sospesero ogni regola: la convertibilità in oro, i pagamenti tra banche, la trasparenza contabile. Il Currency and Banknotes Act britannico del 5 agosto 1914 consentì di emettere moneta senza riserve auree: la gabbia del gold standard veniva spezzata in nome dell’emergenza. Le perdite bancarie furono trasferite ai contribuenti. Le banche ottennero liquidità illimitata, i loro debiti vennero congelati, e i titoli in default – come i bond ottomani o i prestiti sudamericani – furono sostituiti con obbligazioni di guerra garantite dallo Stato. Si chiamò patriottismo, ma fu un colossale riciclaggio di bilanci.
La guerra trasformò i loro fallimenti in “sforzo bellico”. I bond di guerra permisero alle banche di scambiare spazzatura per titoli sicuri, e ai governi di indebitarsi fino all’osso: nel Regno Unito il debito raggiunse il 140% del PIL, in Francia il 225%. L’inflazione fece il resto, cancellando i risparmi dei cittadini e ripulendo i bilanci bancari. I piccoli risparmiatori pagarono in silenzio l’enorme trasferimento di ricchezza: il valore reale dei depositi calò tra il 50 e il 90%, ma il sistema sopravvisse, più concentrato e potente che mai.
Nel frattempo, dall’altra parte dell’Atlantico, la nascita della Federal Reserve nel dicembre 1913 non fu una coincidenza: entrò in funzione proprio mentre l’Europa affondava. Creata da uomini come Paul Warburg e i soci della House of Morgan, la Fed introdusse due elementi decisivi che i banchieri europei non avevano: moneta elastica e prestatore di ultima istanza. Quando la crisi esplose, le banche americane poterono emettere credito illimitato, mentre quelle europee affogavano nel vincolo dell’oro. La Fed finanziò, di fatto, gli Alleati già prima dell’ingresso ufficiale degli Stati Uniti in guerra. Quando Washington entrò nel conflitto nel 1917, la sopravvivenza delle banche americane e la vittoria militare erano ormai inseparabili.
Dopo il 1918, il panorama mondiale era cambiato. Delle 38 grandi banche britanniche del 1913, ne restavano cinque: le Big Five, che dominarono il credito per decenni. Negli Stati Uniti, JP Morgan raddoppiò gli attivi in sei anni; le banche aderenti alla Federal Reserve triplicarono i depositi. Nacque il principio del “too big to fail”: istituzioni talmente grandi da non poter fallire, e dunque libere di rischiare sapendo di essere salvate. Le fusioni furono incentivate dai governi, che preferivano pochi colossi “stabili” a molte banche vulnerabili. La competizione diminuì, la concentrazione del potere finanziario crebbe.
Il dopoguerra consacrò l’inversione dei ruoli: prima del 1914 i governi regolavano le banche; dopo il 1918 furono le banche a dettare legge agli Stati. La Banca d’Inghilterra impose il ritorno al gold standard nel 1925 per proteggere i creditori, anche a costo di distruggere occupazione e industria. La “indipendenza” delle banche centrali divenne dogma: in teoria una garanzia di stabilità , in realtà il trionfo del potere dei creditori su quello politico. Le misure eccezionali della guerra – emissione illimitata di moneta, garanzie pubbliche, salvataggi mirati – divennero strutturali. Da allora ogni crisi ha seguito lo stesso copione.
Nel 2008, il TARP ripeté lo schema del 1914: il governo comprò gli attivi tossici delle banche, trasformandoli in debito pubblico. Il quantitative easing sostituì il gold standard con l’inflazione programmata: i bilanci delle banche centrali si gonfiarono come nel 1914, e le disuguaglianze pure. Nel 2020 e nel 2023, la sceneggiatura si ripeté ancora: fallimenti bancari ricomposti in fusioni “assistite”, garanzie statali, liquidità senza fine. La crisi, come nel 1914, è ormai solo un pretesto per concentrare ancora più potere.
La verità è che la guerra non distrusse la finanza globale: la rifondò. Le banche che avrebbero dovuto morire nel 1914 usarono la guerra come scudo per diventare immortali. Da allora, ogni “emergenza” – guerra, pandemia o crash finanziario – ripete lo stesso rito: si salva il sistema, si sacrificano i cittadini. Capirlo non è storia, è capire il presente.
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