Le colpe dei poveri

treno

di Emiliano Scappatura – Ricordo che alcuni anni fa, durante la mia vita da pendolare su quei treni sgangherati che nel profondo Sud distribuivano i professori dalla città ai vari comuni della provincia, ogni tanto si presentava il controllore e, senza neanche una esitazione, si avvicinava direttamente a noi, ben identificabili per il modo di vestire borghese rispetto a tutto un universo di varia provenienza che riempiva il vagone e dopo avere chiesto ad ognuno di noi il biglietto riponeva tutto e si andava a sedere, come esaurita la sua missione. Dopo diverse volte, un po’ sorpreso e un po’ infastidito, gli chiesi allora:

“Ma, scusi, agli altri il biglietto non lo chiede? C’è ancora mezzo vagone pieno ma ogni volta il biglietto lo chiedono solo a noi” E lui mi rispose sconsolato: “E a quelli che glielo chiedo a fare? Ci provavo pure una volta, ma non serve a niente. Lo so già che non ce l’hanno ma tanto c’è chi è senza permesso di soggiorno, chi senza documenti, chi senza fissa dimora e quindi non avrei neanche dove mandare il verbale. A seguire le regole dovrei portarli in questura e farli espellere, ma domani ve li ritrovereste di nuovo qui senza biglietto, e chissà quanti sono già stati espulsi. Quindi preferisco non perdere tempo”

“E quindi – ribattei – il biglietto lo dobbiamo pagare solo noi perché siamo i più fessi”. Una cosa simile mi accadde ascoltando in un autobus romano una discussione tra un ragazzo che era stato multato per non avere timbrato il biglietto e il controllore. “L’infrazione la ho commessa, però sono anche l’unico a cui vi siete avvicinato a chiedere il biglietto e adesso devo pagare le colpe di tutti solo perché avete visto che sono l’unico vestito bene” e indicava tutta una oscura marmaglia che riempiva il veicolo e da cui il ligio bigliettaio si era ben tenuto lontano.

Gli episodi, che potrebbero moltiplicarsi a memoria d’ognuno e che, beninteso, non vogliono avere nulla di razzista o classista, indicano solo l’approdo di una situazione che diversi governi hanno abbandonato a una sorta di laissez faire sociale fino a degenerare in una forma di anarchia istituzionale. Facendo maturare in una parte della popolazione l’idea malsana che alcune categorie possono permettersi di vivere extra legem. E che se in un primo momento si giustificava come una forma di pietas verso una categoria di poveri diavoli che alla meno peggio sbarcavano il lunario su cui non infierire, in virtù di una condizione troppo a lungo difesa da una sociologia annacquata di retorica perbenista verso le classi ultime, più tardi ha fatto finanche maturare in alcune una sorta di arroganza, come in certi rom che hanno scoperto che basta essere minorenni o incinte per passare indenni attraverso i buchi del codice penale, a cui la risposta dello Stato è stato l’invito impotente a tutelarsi ognuno come può.

Tutto ciò spiega adesso quella frattura nei commenti alle disposizioni del nuovo pacchetto sicurezza governativo tra il sentire popolare e una certa classe culturale. Il mondo intellettuale non ha esitato a definirle populiste e demagogiche e che non sfiorano neanche quelle che sono le vere emergenze nazionali, quali l’evasione fiscale o i reati dei cosiddetti colletti bianchi, che qui non sono neanche nominati. La classe politica, in altre parole, avrebbe voluto dare in pasto alla gente le cose più appariscenti, ma che a livello di cifre incidono di meno, per distrarli dai problemi penalmente più seri proprio perché in quelli era lei stessa immischiata. Non dubitiamo che queste affermazioni, a livello di dati, siano corrette. Ma temiamo anche che un certo mondo intellettuale pecchi di miopia interpretativa.

Gli intellettuali italiani vivono perlopiù in una fetta di mondo dove poco arriva del puzzo delle periferie e si possono ben permettere di guardare la realtà dall’alto di categorie astratte dove la delinquenza è solo un problema sociologico e, come tutti quelli ben pagati, il dramma di far quadrare un bilancio è solo un dilemma di economia politica. Problemi da risolvere, certamente, ma nell’ambito della dialettica e lontano dal mal di stomaco. Per questo quindi per loro gli individui che ogni giorno si svegliano all’alba per prendere treni e autobus per riversarsi nelle strade e immergersi in un mondo cittadino pieno di tensione sono solo dati statistici e non figure concrete e non riescono a carpirne gli umori se non attraverso la mediazione di un testo.

Ma l’uomo medio, appunto, dalle grandi speculazioni bancarie è tagliato fuori ma in compenso vive giorno per giorno in una realtà di sudiciume sociale, appartamenti occupati e periferie malsane e se subisce un furto si chiede se vale la pena denunciarlo perché alcune persone in fondo a vivere così non hanno nulla da perderci. E adesso da queste regole si sente almeno un poco protetto.

Non si sa dove porteranno, naturalmente, perché in Italia tutto è lasciato sempre alle buone intenzioni, ma perlomeno le buone intenzioni qui si sono dimostrate non dalla parte del colpevole ma da quella della vittima. Il mondo intellettuale continua a dire che questo universo può continuare ad essere una terra di nessuno perché politicamente ed economicamente non ha molta rilevanza. Ma noi crediamo che un po’ d’attenzione la meriti anche perché persino in un paese tradizionalmente refrattario all’ordine come l’Italia l’anarchia non dura mai troppo a lungo e a continuare a lasciar fare poi va sempre a finire che arriva qualcuno che si propone di portare quell’ordine a cui lo Stato ha abdicato. E allora con ingenuo stupore ci si chiede come sia potuto accadere.

prof. Emiliano Scappatura

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One thought on “Le colpe dei poveri

  1. Dal 1992 , anno in cui ho lavorato per la prima volta con senegalesi ecc ecc , vado dicendo le stesse cose .
    Loro ne facevano un vanto descrivendo noi come dei cogloni .
    Dopo tre decenni non è cambiato nulla.

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