Artico, posticipato lo scioglimento dei ghiacci

riscaldamento globale

Il Protocollo di Montreal stilato nel 1987 per preservare lo strato di ozono ha contribuito anche a rallentare il riscaldamento globale, posticipando di oltre una decina di anni la temuta prima estate senza ghiacci nell’Artico, inizialmente prevista per la metà di questo secolo.
Lo indicano le simulazioni condotte dagli esperti dell’Università della California a Santa Cruz e della Columbia University negli Stati Uniti insieme ai colleghi dell’Università di Exeter nel Regno Unito. I risultati sono pubblicati sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas).

Considerato uno dei più grandi successi della diplomazia climatica, il Protocollo di Montreal è stato il primo trattato ratificato da tutti i 198 Paesi membri delle Nazioni Unite: entrato in vigore nel gennaio 1989, prevedeva i termini di scadenza entro cui i firmatari si impegnavano a contenere i livelli di produzione e consumo di un centinaio di sostanze chimiche dannose per la fascia d’ozono (Ozone Depleting Substances, ODS).

In realtà lo scioglimento dei ghiacci viene rimandato da circa un secolo

“Anche se le Ods non sono abbondanti tanto quanto gli altri gas serra come l’anidride carbonica, hanno comunque un impatto reale sul riscaldamento globale”, afferma Mark England dell’Università di Exeter. “Le Ods hanno effetti particolarmente potenti sull’Artico e hanno avuto un ruolo importante nel guidare il cambiamento del clima artico nella seconda metà del XX secolo. Sebbene fermare questi effetti non fosse l’obiettivo primario del Protocollo di Montreal, è stato un fantastico effetto secondario”. Secondo le stime dei ricercatori, ogni 1.000 tonnellate di Ods non emesse in atmosfera si risparmiano sette chilometri quadrati di ghiaccio marino artico.

“I nostri risultati dimostrano chiaramente che il Protocollo di Montreal è stato un trattato molto potente per la protezione climatica e ha fatto molto più che sanare il buco dell’ozono sopra il Polo Sud”, aggiunge Lorenzo Polvani della Columbia University. “I suoi effetti si sono avvertiti in tutto il mondo, soprattutto nell’Artico”.
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