Valeria Fedeli: “dirigenti Pd maschilisti, bacchettoni e ipocriti”

Valeria Fedeli

Valeria Fedeli ha una caratteristica, riconosciuta da amici e avversari: è diretta. Forse il merito è del suo passato nel sindacato, la Cgil, dove, partendo da zero, è arrivata a guidare, nella segreteria nazionale, i tessili della Cgil. Di recente è stata senatrice del Pd, vicepresidente del Senato, ministra dell’Istruzione. Anche sul caso Morani, attaccata per una foto su Facebook, non fa sconti. Accusa il suo partito di «cultura maschilista», i suoi dirigenti di essere «bacchettoni e ipocriti». E ne ha anche per le donne del Pd, incapaci di fare una «battaglia collettiva».

Cosa ha pensato quando ha letto degli attacchi ad Alessia Morani per la foto su Facebook? 
«La prima reazione è stata di stupore. È una foto così normale, bella. Come ha potuto scatenare queste reazioni?».
Cosa si è risposta? 
«I primi commenti sono di odiatori della tastiera. Appena una donna, soprattutto se fa politica, mette una sua immagine sui social, si scatena l’odio. Ma la cosa che mi ha maggiormente colpito sono i commenti di quelli del Pd, della sinistra, che dimostrano ancora una volta come sia fortissima, nella mia parte politica, una cultura maschilista».
In che senso “maschilista”? 
«Quei commenti sono un atto di violenza che esprime il potere che si vuole esercitare sulle donne. Del resto non mi stupisce. È un ulteriore germe di una cultura politica con cui mi sono misurata in questi anni».
Si riferisce a episodi in particolare? 
«Mi sono venute in mente le critiche al tacco 12 della Boschi o altri attacchi subìti da altre donne. Una cultura che non si limita ai social».

Alessia Morani

Dove altro si vede? 
«Ci sono altrettanti odiatori della autonomia delle donne che fanno politica. C’è una cultura di odio rispetto alla libertà delle donne e in più la pretesa che una donna che entra in politica debba omologarsi, essere uguale agli uomini. Nell’aspetto e nei modi. A volte quelli gentili dicono: “Bisogna essere sobri”. Ma un conto è la sobrietà, altro è non potersi mettere un rossetto o un top».
Come le è sembrata la reazione dei vertici del Pd? 
«Non c’è stata. Ha espresso solidarietà Cecilia D’Elia (portavoce della Conferenza Nazionale delle Democratiche, n.d.r.). Ma io vorrei una espressione di condanna dai dirigenti politici del Pd. I maschi leader dove sono? Non ce n’è stato uno che abbia presto posizione. Questo dice di un arretramento incredibile nel Pd».

Da dove nasce questo “arretramento” in un partito che, a parole, è tanto attento ai diritti delle donne? 
«In parte dalle culture fondative del Pd, intrise di atteggiamenti moralisti. Ma c’è anche il fatto che non abbiamo vinto, come donne, la battaglia politica. E’ vero e Nilde Iotti si metteva il rossetto, era femminile. Ma era già autorevole e quindi veniva rispettata. Chi già non lo è, cerca di nascondere la propria differenza per farsi accettare. Quanto rancore verso le donne che fanno politica è stato seminato in questi anni? E aggiungo: è un rancore che nasconde anche un modo di fare battaglia politica tra anime del Pd?».
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