Democrazia non è mettere in mano alla gente una scheda elettorale

elezioni anticipate

di Emiliano Scappatura – La democrazia ad usum personae – La democrazia moderna, scriveva Max Weber, è nata dal fuoco del protestantesimo. Poi, con il tempo, è diventata atea, ma ne ha ingabbiato dentro tutto l’ardore etico. E questo spiega perché le nazioni che non hanno conosciuto storicamente le vampe della riforma non possono conoscere una reale democrazia. La democrazia, diceva insomma il grande sociologo tedesco, più che un metodo politico, è un sistema etico: quello si può applicare con facilità, ma l’altro se la storia non ce lo ha lasciato, è inutile cercarlo.

Noi possiamo sorridere quando Bush pensava di riuscire a esportare con ingenuità la democrazia in un paese musulmano, ma non è che i paesi di tradizione cattolica o ortodossa se ne ritrovino di molto più sostanziose. Sono democrazie dove si pensa di avere risolto tutto semplicemente mettendo in mano alla gente una scheda elettorale. E di fronte ai rigurgiti morali tutto si riduce al codice: le regole si sono seguite, e allora va tutto bene, la democrazia funziona benissimo. La dimensione etica qui è ridotta alla dimensione legale. E spiega perché noi italiani abbiamo un rapporto così controverso con la politica: ridurre la democrazia all’uso delle regole la sbiadisce e la depaupera molto.

Kelsen poi ha spiegato come delegare le decisioni alla maggioranza fa della democrazia l’unico sistema politico in cui le scelte non saranno forse migliori, ma salvaguardano la libertà d’ognuno. La democrazia, si sa, è antipatica: da sempre c’è gente che ritiene che passare dal parlamento è un’inutile perdita di tempo: in passato si poteva dire tranquillamente, e ancora ieri se si ha il Migliore al comando, sebbene con una maggioranza parlamentare quasi assoluta, spesso l’esecutivo non si preoccupava neanche di passare per il legislativo. Ma non c’è Stato oggi che, per quanto la disdegni, ha il coraggio di parlarne male; e gli uomini bisogna in qualche modo farli eleggere, sia pure per motivi di esposizione.

È sempre elegante far vedere che un parlamento ce l’hai, anche se conta poco.
Basterebbero solo questi banali e veloci passaggi per capire come l’idea di democrazia si sia snaturata in Italia da sistema politico ad uso sociale fino a ridursi ad un sistema elettorale che serve più che altro come mezzo per arrivare al parlamento, per un uso personale.

Una democrazia sarebbe un sistema dove si confrontano due figure che mettono in contrapposizione sistemi di pensiero e risposte alternative alle domande create dalle situazioni. Ma in questa italiana la votazione è semplicemente un dovere formale, doveroso perché imposto dalla legge, affinché certe persone raggiungano il parlamento. Così per esempio certi partiti che vogliono sistemare nomi vanno a vedere i luoghi più sicuri dove farli eleggere.

Nei paesi anglosassoni la cosa sarebbe stupefacente: in quei paesi, infatti, si votano sempre individui concreti e si analizzano i nomi sulle liste, si vuole ascoltare quello che dicono sui palchi durante la campagna elettorale, per non dire che devono avere una profonda conoscenza delle esigenze del territorio: il voto lì te lo devi guadagnare testa per testa. Ma qui, siccome tu voti un partito, può capitare che un candidato è in una città e viene tranquillamente eletto in un luogo in cui non ha mai messo piede, solo perché lì il partito gode di un forte consenso. C’è bisogno di certe persone in parlamento senza problemi, e le si fa passare da lì.

Molti giornalisti inglesi e americani, in Italia come inviati, ne sono rimasti esterrefatti, e quando lo hanno descritto sui loro giornali si stentava a crederlo. Un romano eletto a Milano? Un toscano in Sicilia? Tutto ovvio. Un candidato in dieci città contemporaneamente? Legale, quindi normale. Ma adesso c’è una nuova trovata tutta italiana, il cosiddetto “diritto di tribuna”, una nuova idea per non lasciare senza seggio alcuni individui che si sono resi utili o che di qualche utilità si possono mostrare. È un modo di concedere favori con i residui dei voti, tanto per non buttare niente: alla fine avrai votato gente e neanche te ne eri accorto.

Ci si sorprenderà, ma si dirà: “Li avete eletti voi, i voti parlano chiaro”. Nella democrazia, teoricamente, chi vota dovrebbe avere una qualche scelta sul suo destino politico, ma in Italia non sceglie, viene usato per attuare decisioni prese da altri. Ecco cosa vuol dire non avere una cultura morale: l’indignazione non si trasforma mai in una dimensione etica ma solo in grida o nello snobismo di chi sta fuori perché ne sente il puzzo. In Italia la politica non ha i caratteri di nobile arte ma è mondo di arruffoni e opportunisti e, quando si superano certi limiti, di farraginose rivolte in attesa di qualche Masaniello che la porti in alto ma che, come tutti i masanielli, finiscono sempre col vestito buono.

prof. Emiliano Scappatura

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