di Francesco Mercadante – econopoly.ilsole24ore.com – Cominciamo col dire che, nellâazionariato della Pfizer compaiono alcuni insormontabili giganti degli investimenti come Vanguard, BlackRock e Wellington, che possiedono, rispettivamente, lâ8,12%, il 7,46% e il 4,22% del colosso farmaceutico statunitense. Anche se non hanno bisogno di presentazioni, per dovere di cronaca diciamo chi sono, di cosa si occupano e che valore hanno sul mercato.
BlackRock è la piĂš potente e ricca societĂ dâinvestimenti al mondo, è una statunitense purosangue, gestisce un patrimonio di piĂš di 8.000 miliardi di dollari ed è stata definita âbanca mondiale ombraâ, âroccia invisibileâ et similia.
Vanguard Group è unâaltra societĂ dâinvestimenti statunitense, ha asset per oltre 5.000 miliardi e, in quanto a negoziazione di fondi, è seconda sola a BlackRock. La piĂš piccola del gruppo â âpiccolaâ⌠si fa per dire â è la Wellington Management Company, altra societĂ dâinvestimento statunitense, con una gestione di circa 1.500 miliardi di dollari. Questâultima, tra le altre cose, è strettamente âimparentataâ proprio con la Vanguard.
Fin qui, nullâaltro se non un quadro di finanza internazionale ordinario. Senza troppa fatica, però, si scopre che BlackRock e Vanguard sono pure i maggiori investitori istituzionali di Facebook: BlackRock col 6,59%, Vanguard col 7,71%; in pratica, si tratta dei primi due. E la Wellington? Non sta di certo a guardare, giacchĂŠ, a propria volta, è dentro la BlackRock col 3,36%.
La metafora delle cinquanta teste e delle cento mani comincia a farsi efficace. Vanguard e Wellington, inoltre, sono presenti nellâazionariato della Pfizer anche attraverso i fondi comuni: Vanguard-Wellington Fund 0,96%, Vanguard Specialized-Health Care Fund 1,31%, Vanguard 500 Index Fund 2,05%, Vanguard Total Stock Market Index Fund 2,80%. Se, da una parte, non possiamo â nĂŠ intendiamo â giungere a conclusioni strampalate circa le forme di controllo della salute globale, dallâaltra, non possiamo di certo fare a meno dâinterrogarci sul valore che assumono alcuni dati, in specie quelli di un social network ormai noto per aver venduto a Spotify, Netflix, Amazon e Microsoft gli accessi degli utenti.
Alla luce dellâaccertato legame finanziario tra il settore farmaceutico, quello finanziario e quello dei social network, sorgono per lo meno dei dubbi in materia di vigilanza. Chi può controllarne lâoperato? Qual è â se mai esiste â il criterio con cui definire questo operato? Forse, è impossibile ricavarne una definizione vera e propria.
Pfizer, Astrazeneca, Facebook e le banche
Aggiungiamo, adesso, che tra i grandi azionisti di Pfizer troviamo anche le grandi banche: Bank of America, Deutsche Bank, Morgan Stanley, JP Morgan et al. Se passiamo ad AstraZeneca, il leitmotiv non cambia. BlackRock ne possiede il 7,7%, Wellington il 5,9% e Vanguard il 3,5%, unitamente al solito comparto bancario. E non si può di certo tacere che BlackRock, Vanguard e Wellington hanno solide e cospicue partecipazioni azionarie nella maggior parte delle multinazionali che producono armi, tra le quali possiamo citare Lockheed Martin Corporation, Raytheon RTN, Bae Systems, Northrop Grumman Corporation & Orbital ATK e General Dinamics.
Nellâultima escursione di questa mini-verifica, è doveroso ricordare che lâinarrivabile BlackRock è la maggiore azionista di UniCredit col 5,2% e possiede il 5,7% di MPS, il 5% di Intesa e il 4,8% di Telecom Italia. Ma non mancano poi le partecipazioni in Atlantia, Azimut, Prysmian, Ubi et cetera. Il âcaso volle cheâ, allâepoca degli stress test EBA del 2016 e del 2018, proprio BlackRock e Vanguard fossero le societĂ incaricate della consulenza in materia di vigilanza, cioè le societĂ che avevano â e hanno tuttora â partecipazioni nelle banche da controllare. E non finisce qui.
Se consideriamo che Wellington è titolare del 6,1% delle azioni di CERVED Group, la societĂ italiana che valuta il merito creditizio e la classe di rischio delle nostre imprese, mentre Vanguard ha unâesposizione a Piazza Affari per piĂš di 9 miliardi, allora sâimpone come preminente il dovere di trovare una âdefinizioneâ per lâoperato delle lobby, delle loro estensioni e delle loro combinazioni.
La âdefinizioneâ, cui sâè fatto cenno in precedenza, non è affatto il capriccio di chi trovi diletto nellâuso del metodo scientifico; non è il diversivo filosofico dâuna politica inerme o il tentativo di riscatto dâuna comunitĂ religiosa. Ă, invece, soprattutto, il presupposto di un âriconoscimentoâ logico della questione, lâindispensabile premessa epistemologica allâindividuazione delle differenze tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Non aspiriamo di certo a possedere chissĂ quale panacea, ma la creazione di un quadro legislativo adeguato deve passare dal riconoscimento, come giĂ detto, concreto e lineare di un fenomeno. Ignorarne alcuni o anche uno di essi vuol dire farsi carico dâuna gravissima colpa storica, lasciare che accada tutto e il contrario di tutto. La superficialitĂ con cui, molto di frequente, i governi fingono di non vedere e non sapere è allarmante, tantâè che, a un certo punto, la gente si scandalizza per frasi del genere: âIl titolo della Pfizer ha guadagnato parecchi punti dopo lâannuncio dellâefficacia del vaccinoâ; frasi usate allâinterno di articoli pieni di allusioni e insinuazioni e i cui autori credono di aver fatto chissĂ quale scoperta, laddove non hanno fatto altro che attestare che il pozzo è umido. Pensiamo forse che i mercati non premino unâazienda farmaceutica che ha appena scoperto un vaccino anti-pandemia?
Purtroppo, non è facile, in un periodo di grande tensione politico-economica e sanitaria, mostrare buona capacitĂ di discernimento, sebbene, nello stesso tempo, non si possano trascurare â ci si conceda lâespressione! â i requisiti di âonorabilitĂ â. Una decina dâanni fa, la Pfizer fu condannata per aver messo in circolazione in modo illegale dei farmaci; ne uscĂŹ quasi indenne pagando una multa di 2,3 miliardi di dollari. 2,3 miliardi di dollari, per una societĂ che ha un fatturato annuo di oltre 50 miliardi e un utile netto di piĂš di 16 miliardi, non rappresentano una multa; si tratta â nĂŠ piĂš nĂŠ meno â dâunâimposta sui ricavi.
Qualcosa del genere è accaduto, per esempio, alle grandi banche che per anni hanno alterato i tassi dâinteresse: hanno subito delle âmulteâ, che, naturalmente, a fronte dei profitti, rientrano sempre nel campo dellâimposizione fiscale âindirettaâ. Lâespressione si presta alla metafora: è evidente; ma non câè spazio per lâironia di contorno. Di qui, non si può fare a meno di richiamare ancora una volta lâattenzione sul problema della âdefinizioneâ.
La relazione di causa ed effetto tra il dolo e la sanzione può essere ridotta unicamente a una stima economica, che peraltro non è mai direttamente proporzionale al danno causato? In una societĂ evoluta può accettarsi una tale distanza tra il giudizio che si emette sullâuomo comune, quello che non ha alcun potere contrattuale, e quello che si emette sulle sovrastrutture economiche del pianeta, non altrimenti che se esistesse una legge extra ordinem? Forse, sarebbe il momento opportuno di tentare la via della risposta.
Nel 2000, il Washington Post, nel condurre unâinchiesta sulla Pfizer, portò allâattenzione del grande pubblico proprio il controverso caso dâuna grave epidemia in cui lâazienda farmaceutica aveva interpretato un ruolo â a dir poco â spettrale e inquietante. In particolare, i fatti risalgono al 1996, allorchĂŠ alcuni bambini della cittĂ nigeriana di Kano, colpiti da meningiti da meningococco, furono sottoposti a una sperimentazione senza alcun tipo di autorizzazione. In quellâoccasione, la sperimentazione passò dalla somministrazione della trovafloxacina, un farmaco sperimentale, per lâappunto, e che, secondo le accuse causò, in alcuni casi, la morte dei malati e, in altri, danni irreparabili.
Lâennesima grossolana â e conclusiva â riflessione che sentiamo lâobbligo di fare non rinvia al senso dello scandalo, giacchĂŠ, molto probabilmente, la frode non nasce con lâuomo, ma prima dellâuomo. Lo stesso può dirsi per le trame finanziarie. Essa afferisce, invece, alla giĂ rilevata e netta separazione tra lo statuto morale del cittadino e quello dei potentati economici.
Il problema â si badi bene! â esiste ed è serio: se è vero e inconfutabile che certi imperi non si possono condannare e far crollare perchĂŠ il loro crollo genererebbe una tale quantitĂ di sciagure economiche che la societĂ civile si riprenderebbe a fatica â Lehman Brothers docet â è altrettanto vero che un cittadino comune, per errori molto meno determinanti, rischia la disfatta social-giudiziaria. Eppure, oggi, il Covid si è abbattuto âprincipalmenteâ sui cittadini comuni.

