Urlavano i titini “Dove tenete l’oro maledetti italiani!”. Gregoretti risponde all’Anpi sulle foibe

Il testo integrale della lettera inviata dal giornalista Marco Gregoretti al direttore del Gazzettino in risposta all’attacco nei suoi confronti da parte dell’Anpi di Venezia dopo la pubblicazione di due video, sul suo canale Youtube, relativi all’esodo giuliano e alla pulizia etnica perpetrata da Tito nei confronti degli italiani.

lettera al direttore  di Marco Gregoretti

Milano, martedì 14 gennaio 2020
Gentile Direttore,
mi preme colmare alcune lacune che ho riscontrato leggendo l’articolo “Foibe, accuse all’Anpi veneziana: “Falso, vicenda che non ci riguarda”, a firma di Tomaso Borzomì, pubblicato sul Gazzettino in edicola Lunedì 13 gennaio 2020, e in cui si parla diffusamente della mia persona, del mio lavoro, e del dramma dell’esodo giuliano e delle Foibe patito dalla mia famiglia materna.

Il collega mi descrive inizialmente come “sedicente giornalista investigativo”, formula generalmente usata in senso denigratorio, sebbene coperta da garanzia epistemologica. In realtà non sono ne sedicente, ne sescrivente giornalista investigativo. Sono un professionista di 63 anni con un lungo e onorevole curriculum, vincitore peraltro nel 1998 del Premi Saint-Vincent consegnatomi dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro proprio per una mia inchiesta di giornalismo investigativo: avevo scoperto, documentato e raccontato le torture e gli stupri perpetrati da alcuni militari italiani durante la missione di pace Restore Hope-Ibis, in Somalia.

Non solo per vanto, ma anche per correttezza: ho lavorato come redattore e come inviato a Panorama per quasi dieci anni con direttori come Claudio Rinaldi, Andrea Monti, Giuliano Ferrara e Nini Briglia, ho fatto parte, come caposervizio, della squadra che ha fondato presso Condé Nast l’edizione italiana di GQ, sono stato caposervizio del settimanale Gente, vicedirettore del mensile Class, ho scritto per innumerevoli testate nazionali (Stampa, Indipendente, Corriere della sera, Gazzetta dello Sport, Espresso, Europeo…), sono autore di libri inchiesta e di programmi televisivi e attualmente ho anche un contratto con la trasmissione di Rete 4 (Mediaset) Quarto Grado, sono di direttore di un mensile cartaceo in edicola che si chiama Nuova Cronaca e di Dedalo, una testata di urbanistica e di edilizia.

Ho iniziato a 21 anni e ho, dunque, fatto tante cose, tra cui il redattore “abusivo”, pagato quando capitava, dell’Unità e il caporedattore di una tv a essa collegata. Qui vi ho citato solo alcune delle mie esperienza. Dunque, sedicente, forse, è una eccessiva presa di distanze nei miei confronti da parte del, immagino molto più giovane di me, collega. Bastava fare clic su Google e saltava fuori più o meno tutto. Capisco, perché ci sono passato anche io, la tempistica frettolosa del quotidiano che non lascia spazi neanche al respiro, ed escludo, dunque, pressioni esercitate dall’Anpi di Venezia. A cui, però, vorrei far presente di aver precisato che il mio video si riferiva alla loro sezione di Rovigo e non a quella di Venezia, come da me inizialmente sostenuto, dopo pochissimo, appena mi è stato segnalato, con un tweet, dall’Anpi di Venezia, stessa l’errore.

Ma quello che mi sta più a cuore e che ci terrei venisse dal vostro giornale evidenziato, è che sarei l’uomo più felice del mondo se dall’Anpi venissero pronunciate parole precise, senza sconti, senza se e senza ma, sul dramma dell’esodo, delle Foibe e di quello che è stato uno scellerato accordo con il maresciallo Tito. Mia madre a 13 anni subì, di notte, dai comunisti di Tito, le “perquisizioni intime”, penso che sia superfluo spiegare di che cosa si trattasse, mentre a mio zio, che di anni ne aveva tre, veniva tenuta la canna di una pistola puntata sulla tempia.

Urlavano, i titini “Dove tenete l’oro maledetti italiani!”. Oro? Quale oro? Poi furono gettati su un carro e mio nonno chiuso in campo di concentramento. Non avevano fatto niente. Erano semplicemente italiani. Quindi questo bastò a portare via tutto a loro: casa, risparmi…Tutto. Arrivarono a Genova, dove sono nato, come profughi. Fecero la fame. Si tirarono su le maniche. Non chiesero mai l’elemosina e mia madre si laureò tre volte, il mio piccolo zio diventò un fisico della dinamica dei fluidi negli Stati Uniti. Quando avevano fame, da piccoli, a Genova scrostavano l‘intonaco dal muro e se lo mangiavano. Questo mi piacerebbe che entrasse nelle coscienze di chi si offende perché c’è stata la confusione tra due città, peraltro rapidamente corretta. Quell’esodo, le Foibe, il furto dei beni, è stato assolutamente trasversale. E soprattutto, mi si perdoni la battuta, non ha nulla di sedicente. È tutto ben documentato.

Marco Gregoretti

 

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