Souad Sbai, perché le donne italiane non devono sposare i musulmani

di Simona Bertuzzi – – liberoquotidiano.it

Non riconosceva più il suo ragazzo la madre del terrorista di Londra. Lo vedeva trafficare sul suo computer in segreto, studiare cose strane. Lei bolognese in fuga da nozze sbagliate con un marocchino sbagliato. Il divorzio, il ritorno in Italia e quel figlio che non voleva fare il bancario ma il terrorista islamico.

La storia è andata come sappiamo. Un attentato, il sangue che scorre a rivoli, la morte che arriva sempre nel momento sbagliato, rabbiosa, assetata, stronza. Non immaginiamo neppure lo strazio di quella donna cresciuta tra i colli di Bologna e finita ad allevare in seno un figlio che non sentiva più suo. Ma la pietà ha un inizio e una fine e per noi finisce qui. Perché quella storia – se non nel suo epilogo almeno nelle premesse – assomiglia troppo a quella di tante donne italiane di cui sono infarcite le nostre cronache. Figlie belle e sincere della cultura più aperta del mondo che la libertà l’ hanno conquistata sui libri, che il lavoro se lo sono scelto quando erano sui banchi di scuola e insieme alle compagne incidevano i loro sogni sul diario dei compiti. Finché un giorno si sono svegliate dal sogno della vita incantata e si sono lasciate ammaliare da ciò che è mistero, lontano, diverso. Si sono innamorate di uomini islamici, si sono sposate la loro cultura e la loro fede, e per molte, troppe di loro, è iniziato il calvario. E non c’ è offesa nel dire calvario. Solo la constatazione di quanto duro, opprimente e svilente sembri a noi donne occidentali quel velo.

Burqa, hijab, niqab, non c’ è differenza. Si legano i capelli belli le spose dell’ islam, e li incastrano sotto veli opprimenti. Poi coprono le curve, le forme generose, le gambe lunghe con cui un tempo svettavano sulle compagne e conquistavano il mondo a passi svelti. Cappe nere e opprimenti da portare dietro ovunque, da portare sempre. E la bellezza ridotta a un lumicino. A un filo di trucco e rimmel sbiadito sul volto.

Anche le case diventano prigioni agli occhi di noi occidentali che le guardiamo e non comprendiamo. E le loro belle vite di donne emancipate, esistenze fiaccate dove c’ è sempre un uomo un passo avanti a loro che decide, esorta e poi ammonisce e raddrizza. Troppe volte picchia e umilia. Non sono tutti così i mariti e i padri islamici. Verissimo. Ma tanti lo sono e i numeri che ci sono preoccupano. Solo all’ associazione “Mai più sola” della deputata Souad Sbai arrivano «3500 chiamate l’ anno di donne – italiane e straniere – che subiscono violenza domestica da compagni, mariti e padri islamici». Ed è una delle poche associazioni che operano in Italia. Quando squilla il centralino è sempre una sconfitta, dice Sbai, perché «prima di tutto bisogna cercare un centro di accoglienza e poi denunciare ma le strutture sono poche e i posti disponibili anche meno».

L’ altro giorno al numero verde dell’ associazione è arrivata la chiamata della mamma di Luana, una bella milanese emancipata caduta anche lei nell’ errore di sposare un marocchino. È andata in Marocco Luana, ha portato i suoi figli. Si immaginava un viaggio di piacere. Ma il viaggio è diventato un incubo senza ritorno. E adesso è sospesa Luana, tra l’ Italia e il Marocco, tra la vita e un marito violento. Che poi le storie si somigliano tutte. Madri, figlie sorelle. Facce e frammenti di vicende che sentiamo ogni giorno con lo stesso male nel cuore. Era senza senso il matrimonio della 28enne di Sant’ Anastasia in provincia di Napoli che un paio di mesi fa venne trovata sfinita sul marciapiede come uno straccio buttato al suolo.

Scappava dal marito islamico – un marocchino anche lui – che voleva farle indossare il burqa e per essere più convincente la prendeva a calci e pugni e poi la chiudeva in bagno fino a sfinirla. Ed era senza senso anche il matrimonio della giovane a Sestri Levante che voleva portare i jeans e non il burqa e il marito pachistano la picchiava e feriva per farle capire che sbagliava.

Per non dire di certe figlie di padri o madri islamici, che fa ancora più male perché il loro destino arriva dall’ alto e non se lo sono neppure cercate. Non serve scomodare Hina, la povera pakistana di Brescia sgozzata dal padre perché si comportava all’ occidentale, e non ubbidiva e non si lasciava sottomettere, quello fu l’ abisso.Allora pensate alla ragazzina torinese di origini egiziane che i genitori avevano promesso in sposa e ha solo 15 anni. «Studio perché voglio cambiare vita e non voglio un uomo che non amo». Lo diceva alle compagne ma i ragazzi si sa possono fare poco. Finché un giorno ha tentato il suicidio e la giustizia si è accorta di lei e l’ ha allontanata dalla famiglia. O la ragazzina di Bologna rasata a zero da una madre indegna che la puniva e umiliava perché troppo occidentale. Anche in quel caso un giudice giusto ha disposto l’ allontanamento dalla famiglia. «Il 60% delle bimbe marocchine in Italia ha smesso di andare a scuola», dice Sbai.

«Non succede neanche in Marocco. Sono dati impressionanti che ho dato al ministero. E il ministero ha risposto faremo, vedremo. La realtà è che avremo un’ altra generazione non acculturata e radicalizzata. Che ci porteremo il terrorismo addosso per altri 30 anni». Pensate, ci sono anche le nozze a tempo in certe moschee adesso: «Si sposano davanti a due testimoni con un tutore/procuratore, dicono che sono nozze valide ma non c’ è nulla di legale. Semplicemente lo sposo non deve niente alla moglie se la abbandona». L’ ennesimo smacco. Ai danni di una donna. «Come può la fede islamica considerare inferiori le donne se le donne fanno una cosa tanto bella come i bambini?» mi ha detto un giorno una bimba bella di nome Viola. Già, come si può.

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Armando Manocchia: Mogli e buoi dei Paesi tuoi >>>

Sempre più donne e uomini sposano partner di culture diverse. Il nostro – spiega Armando Manocchia – è un invito ad informarsi per chi intende sposare un partner non occidentale.

Il dovere d’informarsi in vista di una libera accettazione dell’altro è essenziale per qualsiasi coppia e le difficoltà aumentano in modo esponenziale quando i due coniugi appartengono a culture differenti. È per questo motivo, che i futuri sposi – spiega Manocchia – dovrebbero prendersi tutto il tempo necessario per riflettere sul matrimonio in modo indipendente, in coppia e magari con una persona di fiducia, al fine chiarire gli aspetti delle differenze e trovare un’intesa pre-matrimoniale.
Non è solo utile, ma addirittura raccomandato, un soggiorno del partner italiano nel Paese d’origine dell’altro, prima del matrimonio.

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