“I clandestini portano malattie”. Non è un luogo comune, ma la presa d’atto della crescita della TBC

“I clandestini portano malattie”.
Non è un luogo comune, ma la presa d’atto della crescita della TBC.  Per questo l’informazione deve essere scrupolosa e non fuorviante.

In Italia la TBC c’è sempre stata, ma prima della ondata migratoria era una malattia rara confinata quasi elusivamente nei cosiddetti soggetti a rischio (soprattutto HIV positivi), ora invece se non si farà nulla, può tornare ad essere una malattia sociale.

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« Il problema immigrazione clandestina – scrive Piero Ostellino su il Giornale del 22 aprile scorso – è lo specchio della miserevole condizione del Paese. In realtà, se fossimo un Paese serio e avessimo un governo serio, avremmo già provveduto.»

La massa dei clandestini che sbarcano nel nostro paese può essere paragonata ad un iceberg la cui parte emersa, minuscola, costituisce i soggetti con TBC contagiosa, mentre la parte sommersa, di gran lunga la più grande, contiene i soggetti affetti da una condizione clinica definita TBC latente.

La TBC latente è una sorta di pre-malattia, asintomatica ed assolutamente non pericolosa per la comunità, ma che come un subdolo Alien può trasformarsi in TBC contagiosa; malnutrizione, indigenza, stress, promiscuità e randagismo sono i fattori che innescano la trasformazione di TBC latente in TBC contagiosa. E come potete ben vedere, si tratta di condizioni che purtroppo rappresentano il pane quotidiano di tanti vu cumprà. Non hanno un lavoro e debbono arrangiarsi per sopravvivere.
Un altro dei problemi che favoriscono la diffusione della TB è sicuramente il ritardo diagnostico. Infatti, mentre un italiano che sta male va dal medico dopo mediamente 3 giorni e un immigrato regolare residente in Italia lo fa nel giro di 4/5 giorni, un clandestino si fa vedere solo dopo 15 giorni.

La causa che tiene lontani i clandestini dai servizi sanitari e facilita consente quindi la diffusione della malattia è soprattutto la  paura di un rimpatrio forzato. Nel frattempo, il soggetto non inizia alcuna terapia causando così il contagio in famiglia, nella propria comunità, nei distretti scolastici frequentati dai figli e nella popolazione.
E’ innegabile che i clandestini rappresentano sicuramente un pericolo per la trasmissione della TBC
Per affrontare la malattia è necessario fronteggiare il problema alla radice. Occorre fare uno screening sia per la TB attiva che la TB latente a tutti coloro che entrano in Italia specialmente se clandestini e se provenienti da determinati Paesi.
Non è possibile prevedere quando i soggetti con TBC latente si ammaleranno, ma hanno molte probabilità di ammalarsi e di essere diagnosticati con notevole ritardo è fondamentale quindi, un controllo dei flussi migratori associato a procedure di screening

In Australia gli sbarchi illegali sono passati dai ventimila del 2013 a meno di centocinquanta del 2014. Merito del pugno di ferro del generale Molan che spiega: “Respingerli è umanitario” «l’immigrazione in Europa è gestita dai governi su mandato degli scafisti i quali sono i principali autori delle politiche migratorie.» Andrew James Molan.

Gli xenofili saranno già sul piede di guerra e mentre li vedo già gridare al razzismo, invocheranno sicuramente l’Art.32 della Costituzione Italiana che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

Agli xenofili, è bene ricordare che esiste una legge, la 833 del 23 dicembre 1978  per “Istituzione del servizio sanitario nazionale” la quale agli Art. 33, 34  e 35 spiega l’arcano:

33. Norme per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari e obbligatori.
Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall’autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l’articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura. Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici territoriali e, ove, necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori di cui ai precedenti commi devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato. L’unità sanitaria locale opera per ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i rapporti organici tra servizi e comunità. Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, l’infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno. Chiunque può rivolgere al sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento con il quale è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio. Sulle richieste di revoca o di modifica il sindaco decide entro dieci giorni. I provvedimenti di revoca o di modifica sono adottati con lo stesso procedimento del provvedimento revocato o modificato.

34. Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori per malattia mentale.
La legge regionale, nell’ambito della unità sanitaria locale e nel complesso dei servizi generali per la tutela della salute, disciplina l’istituzione di servizi a struttura dipartimentale che svolgono funzioni preventive, curative e riabilitative relative alla salute mentale. Le misure di cui al secondo comma dell’articolo precedente possono essere disposte nei confronti di persone affette da malattia mentale. Gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi territoriali extraospedalieri di cui al primo comma. Il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale può prevedere che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere. Il provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera deve essere preceduto dalla convalida della proposta di cui al terzo comma dell’articolo 33 da parte di un medico della unità sanitaria locale e deve essere motivato in relazione a quanto previsto nel presente comma. Nei casi di cui al precedente comma il ricovero deve essere attuato presso gli ospedali generali, in specifici servizi psichiatrici di diagnosi e cura all’interno delle strutture dipartimentali per la salute mentale comprendenti anche i presidi e i servizi extraospedalieri, al fine di garantire la continuità terapeutica. I servizi ospedalieri di cui al presente comma sono dotati di posti letto nel numero fissato dal piano sanitario regionale.

35. Procedimento relativo agli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza ospedaliera per malattia mentale e tutela giurisdizionale.
Il provvedimento con il quale il sindaco dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera, da emanarsi entro 48 ore dalla convalida di cui all’articolo 34, quarto comma, corredato dalla proposta medica motivata di cui all’articolo 33, terzo comma, e dalla suddetta convalida deve essere notificato, entro 48 ore dal ricovero, tramite messo comunale, al giudice tutelare nella cui circoscrizione rientra il comune. Il giudice tutelare, entro le successive 48 ore, assunte le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti, provvede con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento e ne dà comunicazione al sindaco. In caso di mancata convalida il sindaco dispone la cessazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera. Se il provvedimento di cui al primo comma del presente articolo è disposto dal sindaco di un comune diverso da quello di residenza dell’infermo, ne va data comunicazione al sindaco di questo ultimo comune, nonché al giudice tutelare nella cui circoscrizione rientra il comune di residenza.

Se il provvedimento di cui al primo comma del presente articolo è adottato nei confronti di cittadini stranieri o di apolidi, ne va data comunicazione al Ministero dell’interno, e al consolato competente, tramite il prefetto. Nei casi in cui il trattamento sanitario obbligatorio debba protrarsi oltre il settimo giorno, ed in quelli di ulteriore prolungamento, il sanitario responsabile del servizio psichiatrico della unità sanitaria locale è tenuto a formulare, in tempo utile, una proposta motivata al sindaco che ha disposto il ricovero, il quale ne dà comunicazione al giudice tutelare, con le modalità e per gli adempimenti di cui al primo e secondo comma del presente articolo, indicando la ulteriore durata presumibile del trattamento stesso. Il sanitario di cui al comma precedente è tenuto a comunicare al sindaco, sia in caso di dimissione del ricoverato che in continuità di degenza, la cessazione delle condizioni che richiedono l’obbligo del trattamento sanitario; comunica altresì la eventuale sopravvenuta impossibilità a proseguire il trattamento stesso. Il sindaco, entro 48 ore dal ricevimento della comunicazione del sanitario, ne dà notizia al giudice tutelare. Qualora ne sussista la necessità il giudice tutelare adotta i provvedimenti urgenti che possono occorrere per conservare e per amministrare il patrimonio dell’infermo. La omissione delle comunicazioni di cui al primo, quarto e quinto comma del presente articolo determina la cessazione di ogni effetto del provvedimento e configura, salvo che non sussistano gli estremi di un delitto più grave, il reato di omissione di atti di ufficio.

Chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, e chiunque vi abbia interesse, può proporre al tribunale competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare. Entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla scadenza del termine di cui al secondo comma del presente articolo, il sindaco può proporre analogo ricorso avverso la mancata convalida del provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio. Nel processo davanti al tribunale le parti possono stare in giudizio senza ministero di difensore e farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto in calce al ricorso o in atto separato. Il ricorso può essere presentato al tribunale mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Il presidente del tribunale fissa l’udienza di comparizione delle parti con decreto in calce al ricorso che, a cura del cancelliere, è notificato alle parti nonché al pubblico ministero. Il presidente del tribunale, acquisito il provvedimento che ha disposto il trattamento sanitario obbligatorio e sentito il pubblico ministero, può sospendere il trattamento medesimo anche prima che sia tenuta l’udienza di comparizione. Sulla richiesta di sospensiva il presidente del tribunale provvede entro dieci giorni. Il tribunale provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, dopo avere assunto le informazioni e raccolto le prove disposte di ufficio o richieste dalle parti. I ricorsi ed i successivi provvedimenti sono esenti da imposta di bollo. La decisione del processo non è soggetta a registrazione.

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Claudio Piersimoni medico chirurgo specializzato in Malattie Infettive e Microbiologia, responsabile del Laboratorio Unico Regionale per diagnostica (microbiologia) della tubercolosi e delle altre infezioni da microbatteri presso gli Ospedali Riuniti di Ancona.
Con una trentennale esperienza professionale in questo campo testimoniata da innumerevoli Congressi nazionali e internazionali, Claudio Piersimoni, oltre ad essere autore di numerose pubblicazioni scientifiche ed aver partecipato alla stesura di linee guida nazionali per il Ministero della Salute e regionali per la Regione Marche, ha coordinato per 10 anni il gruppo di Studio dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (AMCLI) sulla Tubercolosi.

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