La moschea nella Milanistan di Pisallah

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30 mar –  Le moschee in Italia sono tutte incostituzionali. L’edilizia di culto con la quale le Regioni e sussidiariamente i Comuni, in questo caso quello di Milanistan, concede permessi e terreni per la costruzione di moschee, eludono sia l’Art.8 comma 3 della Costituzione, che le maglie sfrangiate dalle competenze in detta materia identificate nell’art. 117.

Il sinistrato Comune di Milanistan, non può consentire l’edificazione di una moschea, ergo edificio di culto, che appartiene ad una confessione religiosa diversa da quella Cattolica nel rispetto dell’Art. 8 della Costituzione che recita:

  • 1.Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. E fin qui non ci piove! Ma aldilà dei punti di vista, l’islam non è una confessione religiosa, bensì una ideologia religiosa.
  • 2. Le confessioni religiose diverse dalla Cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri Statuti, (che gli islamici non hanno e non potranno mai avere), in quanto “non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”. Non solo Dio, ma tutti sappiamo come e quanto contrastino … Ma, se questo non è sufficiente, ciò che taglia la testa al toro è il comma 3 che recita:
  • 3. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla “base di intese” con le relative rappresentanze.

Queste teste di straccio dell’Ucoii, filiale dei fratelli musulmani dichiarati terroristi sia dall’Arabia Saudita e dall’Egitto (loro li conoscono bene), fortunatamente non hanno nessuna intesa con lo Stato Italiano come non ce l’hanno neanche i cosiddetti moderati del Coreis. La gente deve sapere una volta per tutte che la nostra Costituzione richiede un “Patto di Intesa”, sottoscritto dai rappresentati della confessione religiosa e lo Stato Italiano. Questo Patto, viene sottoposto alle Camere per il passaggio in legge.

La legge, consente un controllo da parte dello Stato affinché la confessione religiosa professata non sia portatrice di una concezione di vita che induce a vivere il rapporto tra fedeli e Stato secondo modalità profondamente diverse da,i convincimenti religiosi o meno che la maggioranza dei cittadini recepisce come disvalori e incompatibili con il nostro ordinamento giuridico. Chi di noi sa, chi di noi non è un cerebroleso sa, che la confessione islamica “contrasta con l’ordinamento giuridico italiano e con i principi di riconoscimento di libertà e di dignità della persona”, garantiti ormai da decenni dalla “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”. Dichiarazione, che i cosiddetti “portatori sani di valori e di cultura”, non si sono mai degnati di riconoscere e che quindi non hanno sottoscritto e pretendono di inserirla, con le necessarie modifiche, nella loro fantomatica Dichiarazione dei Diritti dell’islam.

Tradotto significa: “cari maomettani, caro islam, non puoi essere riconosciuto in Italia e nello specifico non puoi costruire le tue moschee”. Punto e basta! Per chi vuole approfondire, deve sapere che anche nella legislazione ordinaria L. 24giungo1929 n.1159 e r d 28 febbraio 1930 n.289 (disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e norme di attuazione) e successive modifiche e/o abrogazioni, la confessione islamica non rientra nei presupposti della norma poiché professa principi contrari all’ordine pubblico.

Domanda legittima: come mai le confessioni religiose diverse dalla Cattolica, per i loro rapporti con lo Stato Italiano ed in particolare, per quello che attiene la costruzione degli edifici di culto, hanno raggiunto il cosiddetto “Patto di Intesa”, ratificato con legge dello Stato in conformità all’art. 8 comma 2 e 3 (vedi a titolo di esempio L. 8 marzo1989 n.101 e successive modifiche per l’Unione Comunità Ebraiche; L. 12 aprile1995 n. 116 e successive modifiche per Unione Evangelica Battista d’Italia (UCEBI), L. 29 novembre 1995 n.520 e successive modifiche per La Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI ) ). Quindi, perchè quella che i convertiti, i buonisti, i traditori, i relativisti, i multiculturalisti, i nichilisti, sponsor della pseudo confessione islamica, sono favorevoli alla apertura e costruzione di moschee pur non avendo raggiunto sottoscritto detto Patto? E’ evidente che per loro vale più la shari’a che la COSTITUZIONE!

La materia “bene culturale di interesse religioso” è tra quelle più frammentarie, disorganiche e confuse del nostro ordinamento al punto da non poterla collegare ad un assetto unitario di competenze legislative e amministrative e contestualmente a disposizioni o gruppi di disposizioni normative ad essa specificatamente dedicati. Il legislatore con il decreto legislativo 22 gennaio 2004 n.42 (Codice dei Beni Culturali e del paesaggio) e successive modiche (Decreto legislativo 26 marzo 2008 n.62) nel cercare di riordinare la materia abroga il precedente decreto legislativo 29.10.1999 n. 490 (Testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali), a sua volta abrogativo della legge 01 gennaio1939 n. 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico e storico) e formula un unico sibillino articolo (art-9) per i Beni Culturali di interesse religioso.

Mentre l’art.19 dlgs 490/99 identificava al primo comma i Beni Culturali di interesse religioso “quelli appartenenti ad Enti ed Istituzioni della Chiesa Cattolica o di altre confessioni religiose”, rinviando però, al comma 2, per detti beni appartenenti alle confessioni religiose diverse dalla Cattolica, alle leggi emanate sulla base di Intese sottoscritte a norma dell’art. 8 comma 3 della Costituzione, l’attuale Codice dei Beni Culturali del 2004 all’art. 9 affida la competenza al Ministero dei Beni Culturali e “per quanto di competenza” alle Regioni, provvedendo relativamente alle esigenze di culto, d’accordo con le rispettive autorità. La definizione di “bene culturale” è invece enunciata all’art.2 di detto decreto “sono beni culturali le cose immobili e mobili, che ai sensi degli artt. 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etno-antropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà” (come si può notare, nemmeno una parola sull’edificio di culto).

Quindi schematizzando, la Chiesa Cattolica costruisce i propri edifici di culto sulla base degli accordi Stato – CEI del 1984 e 1996 modificativi dei Patti Lateranensi, le confessioni diverse dalla Cattolica, ma equiparate alla stessa con le varie Intese, costruiscono il Bene Culturale di interesse religioso sulla base dei Patti che di fatto si occupano anche degli edifici di culto, e allora? Vi chiederete, le confessioni professate prive dei Patti di Intesa? Considerando che nell’ampio genere di Beni Culturali di interesse religioso esistono anche la sottospecie dei beni destinati al culto (ovvero edifici di culto) stante l’attuale normativa ordinaria: “ogni culto, anche se professa principi contrari all’ordinamento giuridico italiano e ai principi di dignità e di uguaglianza della persona, potrebbe costruire, bypassando il vaglio dell’art. 8 comma 2 e 3 della Costituzione, ottenendo privilegi riconosciuti dallo Stato solo a quelle confessioni o culti che hanno l’Intesa.

Ancora una volta una legislazione ordinaria lacunosa, sibillina, monca. Per fortuna c’è sempre il filo conduttore della Costituzione, che supera i pasticci, le lacunosità e le incongruenze degli attuali legislatori. A sostegno della necessità del vaglio dello Stato effettuato con il Patto di Intesa per la costruzione degli edifici di culto vediamo il Titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001, ovvero i commi 2° e 3° dell’art. 117. Art. 117 Cost. comma 2 “lo Stato ha legislazione esclusiva …..c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose …..s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” mentre al 3° comma “sono materie di legislazione concorrente (ovviamente regionale) quelle relative a …valorizzazione dei beni culturali”. Non è facile delimitare con precisione il confine in questa materia tra la competenza esclusiva dello Stato (tutela del Bene Culturale) e quella concorrente regionale (valorizzazione del Bene Culturale).

Leggendo i diversi articoli del Codice dei Beni Culturali e successive modifiche, nonché la sentenza della Corte Costituzionale (n.9 del 13 gennaio 2004), la “tutela” è una cosa diversa dalla “valorizzazione”. Lessicalmente, “valorizzazione” è accrescere il pregio di qualcosa di già esistente. Di conseguenza la costruzione dell’edificio di culto della confessione e/o culto diversa dalla Cattolica rientrerebbe nel comma 2 lett c) e s) dell’art. 117 Costituzione, in quanto in primis ( lett. c) è lo Stato che con i Patti di Intesa regolamenta i rapporti con la confessione religiosa e gli aspetti di questa che non siano in contrasto con il nostro ordinamento giuridico e successivamente si riallaccia alla lett. s) posto che la tutela del bene culturale (nella specie religioso e in maggior analisi dell’edificio di culto) è la salvaguardia delle esigenze e degli interessi di carattere religioso. Infatti, si parla di costruzione di edifici di culto per le religioni diverse dalla Cattolica solo ed unicamente nei Patti di Intesa, mai nella legislazione ordinaria!

Furbescamente i maomettani figli di allah, utilizzano sia la lacunosità, la sovrapposizione e i confini a volte indefiniti della nostra legislazione, per costruire ovunque edifici di culto, eludendo sia le leggi che le maglie sfrangiate della nostra Costituzione. Noi?!?! Assistiamo come beoti, che tra Comuni e Associazioni pseudo culturali islamiche, stipulano convenzioni inserendo in leggi regionali, non solo l’autorizzazione a costruire, ma addirittura, con una semplice richiesta della pseudo confessione religiosa, la Regione sosterrà con i soldi dei contribuenti la costruzione.

Tratto dal Tavolo di Studio: moschee e legalità

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