L’islam, è una triade di sesso, morte e religione. Un sistema che tratta la metà dell’umanità come animali.

VELO BAMBINE

Islam se lo conosci lo eviti – Tratto dal racconto: “Vista del minareto in lontananza”, la scomparsa e a lungo misconosciuta scrittrice egiziana Alifa Rifaat.

Non ci odiano per la nostra libertà. Ma non abbiamo libertà perché ci odiano. L’islam, è una triade di sesso, morte e religione. Un sistema che tratta la metà dell’umanità come animali. Le donne egiziane sono sottoposte a umilianti “test della verginità” solo per il fatto di aver parlato a voce alta. Il 90% delle donne egiziane sposate hanno subito una mutilazione genitale in nome del pudore.

Un articolo nel codice penale egiziano dice che se un marito ha picchiato una donna “con buone intenzioni” lei non ha diritto ad alcun risarcimento legale. Giuridicamente, comprendono qualsiasi pestaggio “non grave” e non “diretto al viso”.

Secondo il Ministero della Giustizia del Marocco, nel 2010 si sono sposate ben 41,098 ragazze al di sotto dei 18 anni.

Nello Yemen, il 55% delle donne è analfabeta, il 79% non fa parte della forza lavoro, e in un parlamento composto da 301 persone siede una sola donna. Ragazzine dodicenni muoiono di parto e possono fare ben poco per arginare il fenomeno del matrimonio di minori in quel paese. Anzi, le manifestazioni a sostegno del matrimonio precoce superano di gran lunga quelle che vi si oppongono, alimentate da dichiarazioni clericali secondo cui chi condanna la pedofilia è un apostata perché il Profeta Maometto, secondo loro, sposò la sua seconda moglie Aisha quando era ancora una bambina.

Ma almeno le donne yemenite possono guidare. In Arabia Saudita sono costrette a chiedere il permesso degli uomini per poter viaggiare e sono impossibilitate a sposarsi – o a divorziare − senza l’accordo di un tutore maschio.

Sicuramente questo non risolve i loro problemi, ma perlomeno simboleggia una certa libertà − e in nessun luogo un fatto simbolico del genere ha maggiore eco che in Arabia Saudita, dove il matrimonio precoce è comune e le donne restano minorenni a vita, indipendentemente dalla loro età o dal livello di istruzione. Le donne saudite sono decisamente più numerose dei loro colleghi maschi nei campus universitari, ma sono costrette a guardare uomini molto meno qualificati di loro controllare ogni aspetto della loro vita.

Si, proprio l’Arabia Saudita, il paese in cui una donna sopravvissuta a uno stupro di gruppo è stata condannata alla prigione per aver accettato di salire in macchina con un maschio estraneo alla sua famiglia e per questo ha avuto bisogno di ottenere la grazia da parte del re;

l’Arabia Saudita, dove una donna che aveva infranto il divieto di guidare è stata condannata a 10 frustate e, di nuovo, ha dovuto richiedere il perdono regale;

l’Arabia Saudita, dove le donne ancora non possono votare o candidarsi alle elezioni, ma è considerato un “progresso” che un regio decreto abbia promesso di concedere loro il diritto di voto per le elezioni locali, poco più che simboliche, previste – fate attenzione – per il 2015.

Qaradawi, sostiene che le mutilazioni genitali femminili (che lui chiama “circoncisioni”, un eufemismo che cerca di porre la pratica sullo stesso piano della circoncisione maschile) non sono “obbligatorie “l’opinione moderata è favorevole a praticare la circoncisione per ridurre le tentazioni”. Così, anche tra i “moderati”, i genitali delle ragazze vengono mutilati per assicurarsi che il loro desiderio ! venga stroncato sul nascere. Intanto, Qaradawi ha emesso una fatwa contro le mutilazioni genitali femminili, ma non sorprende che, quando l’Egitto ha vietato la pratica nel 2008, alcuni esponenti dei Fratelli Musulmani si siano opposti.

Dal Marocco allo Yemen le molestie sessuali sono endemiche ed è per il bene degli uomini che tante donne sono costrette a coprirsi.

Il Cairo ha un vagone della metropolitana per sole donne per proteggerci dalle mani “vaganti” e da comportamenti ancora peggiori; in Arabia Saudita esistono innumerevoli viali solo per famiglie, a cui uomini soli non hanno accesso a meno che non dimostrino di dover accompagnare una donna.

Oltre l’80% delle donne egiziane ha detto di aver subito molestie sessuali e più del 60% degli uomini ha ammesso di aver molestato delle donne.

.I chierici di regime tengono a bada i poveri di tutta la regione con la promessa che otterranno giustizia − e vergini nubili − nell’aldilà piuttosto che fare i conti con la corruzione e il nepotismo del dittatore in questa vita.

In Arabia Saudita, il Regno è sfrontato nella sua fede in un Dio misogino, ossessionati dalle donne e dai loro orifizi, e specialmente da quello che può uscirne. Se un bambino ha urinato su di voi, potete continuare a pregare con gli stessi abiti, ma se è una bambina a farlo, in quel caso ci si deve cambiare.

Quanto odia le donne l’Arabia Saudita? Tanto che 15 ragazze sono morte in un incendio in una scuola a La Mecca nel 2002, dopo che la “polizia morale” aveva impedito loro di fuggire dal palazzo in fiamme − e trattenuto i vigili del fuoco dal salvarle − perché le ragazze non indossavano il velo e l’abbigliamento richiesti in pubblico. E non è successo niente. Nessuno è stato messo sotto processo. I genitori sono stati messi a tacere. L’unica concessione di fronte a tale orrore fu che l’educazione delle ragazze venne sottratta dall’allora principe ereditario Abdullah ai fanatici salafiti, che sono però riusciti a mantenere la loro influenza sul sistema scolastico del regno.

In Kuwait, dove per anni gli islamisti si sono opposti all’emancipazione femminile, sono riusciti a cacciare le quattro donne che erano finalmente entrate in parlamento, e a esigere che le due che non coprivano i capelli con il foulard indossassero l’hijab.

In Tunisia, i leader del partito hanno promesso di rispettare il codice tunisino del 1956 sulla libertà della persona, che afferma “il principio della parità tra uomini e donne” in quanto cittadini, e vieta la poligamia. Ma professoresse e studentesse universitarie hanno denunciato aggressioni e intimidazioni da parte degli islamisti per non aver indossato l’hijab, e molte attiviste per i diritti delle donne si chiedono come la sharia potrà influenzare le leggi sotto cui vivranno nella Tunisia post-rivoluzionaria.

In Libia la prima cosa che il capo del governo ad interim, Mustafa Abdel Jalil, ha promesso di fare è abolire le ultime restrizioni del tiranno libico sulla poligamia. Affinché non pensiate che Muammar al-Gheddafi fosse una sorta di femminista, ricordo che sotto il suo governo ragazze e donne sopravvissute ad aggressioni sessuali o sospettate di “crimini morali” venivano rinchiuse in “centri di riabilitazione sociale”, vere e proprie prigioni dalle quali non potevano uscire a meno che un uomo accettasse di sposarle, oppure le famiglie venissero a riprendersele.

L’Egitto dove, meno di un mese dopo le dimissioni del presidente Hosni Mubarak, la giunta militare che lo ha sostituito, ufficialmente per “proteggere la rivoluzione”,  ha inavvertitamente ricordato le rivoluzioni di cui ledonne abbiamo bisogno. Dopo aver svuotato piazza Tahrir dai manifestanti, i militari hanno trattenuto decine di attivisti maschi e femmine ed hanno riservato dei “test di verginità” alle attiviste femmine: Veri e propri stupri camuffati da visite mediche, con un dottore che inseriva le dita nella vagina in cerca dell’imene. (Il medico è stato denunciato e, infine, assolto a marzo.)

Un quarto dei seggi parlamentari è ora detenuto dai salafiti, che credono che conformarsi alla vita del profeta Maometto sia una ricetta appropriata alla vita moderna. Lo scorso autunno, quando ha messo in campo delle donne, il partito salafita egiziano al-Nur ha coperto con un fiore i volti delle sue candidate. Le donne non devono essere viste né sentite − anche le loro voci rappresentano una tentazione − quindi nel parlamento egiziano sono coperte di nero dalla testa ai piedi e non possono proferire verbo.

E siamo nel bel mezzo di una rivoluzione in Egitto! Una rivoluzione in cui donne sono morte, sono state picchiate, colpite da spari e sessualmente aggredite mentre combattevano al fianco degli uomini per liberare il nostro paese dal Patriarca per antonomasia − Mubarak − mentre tanti altri piccoli patriarchi continuano a opprimerci. I Fratelli Musulmani, che detengono quasi la metà dei seggi nel nuovo parlamento rivoluzionario, non credono che una donna (o un cristiano) possa diventare presidente. La donna che dirige il “comitato delle donne” del partito politico della Fratellanza ha detto di recente che le donne non dovrebbero marciare e protestare perché è più “dignitoso” lasciare che i loro mariti e fratelli lo facciano anche per loro.

L’odio nei confronti delle donne è radicato nella società egiziana. In un giorno di novembre sono stata violentata in via Mohamed Mahmoud, vicino a piazza Tahrir, da almeno quattro poliziotti antisommossa egiziani ed ero già stata molestata da un uomo nella piazza stessa. Mentre siamo ansiosi di rendere note le violenze da parte del regime, quando invece siamo violate dai nostri concittadini civili supponiamo immediatamente che si tratti di agenti del regime o di teppisti, perché non vogliamo contaminare la rivoluzione.

Quindi, che cosa si deve fare?

Le rivolte arabe possono esser state innescate da un uomo arabo − Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante tunisino che si è dato fuoco per la disperazione − ma verranno portate a termine dalle donne arabe. Amina Filali − ragazza marocchina di 16 anni che ha ingerito del veleno dopo essere stata costretta a sposare l’uomo che l’aveva violentata e picchiata − è il nostro Bouazizi. Salwa el-Hussein! i, la prima donna egiziana che si è pronunciata contro i “test di verginità”; Samira Ibrahim, la prima a denunciarli in tribunale e Rasha Abdel Rahman, che ha testimoniato al suo fianco, sono i nostri Bouazizi. Non dobbiamo aspettare che muoiano perché lo diventino. Manal al-Sharif, che ha trascorso nove giorni in carcere per aver infranto il divieto di guidare, è il Bouazizi dell’Arabia Saudita. Rappresenta una forza rivoluzionaria, anche se composta da una sola donna, che si scaglia contro un oceano di misoginia.

“Sapete perché ci hanno sottoposto ai test di verginità?” Ibrahim mi ha chiesto subito dopo che avevamo passato ore a marciare insieme al Cairo per la Giornata internazionale della donna, l’8 marzo. “Vogliono ridurci al silenzio, vogliono ricacciare le donne nelle loro case. Ma non ce ne andremo da nessuna parte.”

Siamo più del nostro foulard e del nostro imene. Ascoltate quelle tra noi che stanno lottando. Diffondete le voci che provengono da questa regione e ficcate il dito in un occhio all’odio. C’è stato un tempo in cui essere islamista costituiva la posizione politica più vulnerabile in Egitto e in Tunisia. Sappiate che ora la condizione più critica è data dall’essere donna. Come è sempre stato.

Tatto dal racconto: “Vista del minareto in lontananza”, la scomparsa e a lungo misconosciuta scrittrice egiziana Alifa Rifaat

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