Uscire senza drammi dalla UE e dall’euro per la salvezza nazionale

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di Gianni Petrosillo

6 apr – Mentre i presunti saggi selezionati da Giorgio Napolitano lavorano a perdere tempo, continuano i saggi d’incompetenza dei tecnici al governo i quali, nonostante il tempo stringa, specialmente per le imprese in credito verso la pubblica amministrazione, non sono in grado di risolvere un problema senza ricorrere ad ulteriori strette della cinghia nei confronti dei contribuenti.

Il recente tentativo di fare pagare a quest’ultimi, con l’anticipo dell’IRPEF, i debiti dello Stato è miseramente fallito grazie al cambio di clima smielato e acritico che finora aveva accompagnato le gesta dei superuomini autonominatisi tali. Il metro dei professori, nella sistemazione dei conti pubblici, non si è modificato rispetto al passato, tassare per non agire sui guasti consolidati. Ad essere mutati sono, invece, gli umori dei partiti che a causa del sostegno dato a Mario Monti hanno preso una scoppola elettorale tremenda e provano a smarcarsi dai danni fatti in precedenza, senza convincere nessuno.

Al nostro establishment manca coraggio, forza e creatività per un ripensamento radicale del sistema politico ed economico nazionale, nonostante i facilitatori della vecchia partitocrazia stiano provando, con le loro proposte inutili e tardive, a neutralizzare i neofucilatori della casta che friniscono al vento. Ma l’eventuale transizione dalla democrazia liquida e liquidata a quella eterea ma reiterata nei soliti inganni non sposterà di un millimetro le rovine che ci circondano.

Si tratta, infatti, di una misera lotta tra inconcludenti di professione e sconclusionati dalla nascita, tra politici demoralizzanti il popolo da circa un ventennio e neofiti moralizzatori da sempre privi di scaltrezza storica e visione strategica. Comunque finisca sarà un insuccesso per tutti, perché sono assenti alla base della diatriba i grandi temi della fase epocale, quelli che fondamentalmente decidono del futuro di una collettività ai nostri giorni.

Ci vuole ben altro per risollevare le sorti del Belpaese, essendo marcito tutto l’assetto rappresentativo ed istituzionale, essendosi ossificatisi gli stessi corpi ed apparati di Stato, che quando non sono eterodiretti dall’esterno, attraverso reti di contatto più o meno informali e condizionanti, sono cannibalizzati dall’interno da autentici delinquenti. Questa crisi ha caratteri planetari, benché le ataviche debolezze strutturali nostrane, abbiano consentito ad essa di attecchire da noi più che altrove.

Per raccogliere da protagonisti le sfide odierne occorre rompere il fronte internazionale che ci ha circondato, tanto quello della speculazione che, soprattutto, quello geopolitico a cagione del quale siamo stati sospinti in posizione subalterna all’alleanza atlantica. L’Italia ha diritto di pretendere ben altra collocazione, in primo luogo lungo la dorsale del Mediterraneo, sbocco tradizionale per ritessere i fili della nostra politica estera e crocevia per una diplomazia profittevole con le potenze dell’est europeo, del medio ed estremo oriente. I nostri sedicenti partner, invece, proprio nella nostra “riserva vitale”, dopo la guerra in Libia, sono venuti a spezzare i nostri sogni di tornare a contare sullo scacchiere mondiale.

Per uscire da questo impasse ci vuole una élite dirigenziale lungimirante in grado di respingere il ricatto e le minacce degli stranieri, nonché di contrattaccare colpendo i nostri detrattori laddove sono più vulnerabili, ovvero nella costruzione comunitaria e nella sua organizzazione monetaria che sta impoverendo la maggior parte del continente a favore di pochi. Una rigenerata e responsabile classe politica che vorrà davvero dimostrarsi all’altezza del suo nome dovrà compiere come primo atto del nuovo corso l’uscita dall’UE e dall’euro per la salvezza nazionale ed il recupero di autonomia decisionale. Non state a sentire chi, tra esperti, tecnici e politicanti da strapazzo, sostiene che sarebbe un suicidio collettivo perché, semmai, quest’ultimo è già in atto proprio per colpa di determinate convinzioni ideologiche che precedono condizioni vessatorie e pauperizzanti, ormai sotto gli occhi di tutti.

La vicenda cipriota ci ha dimostrato che uscire dall’euro non è un dramma, perché, nei fatti, come scrive l’economista francese Jacques Sapir, gli euroburocrati “hanno creato, senza drammi e senza alcun problema, due euro, uno cipriota dalla fungibilità limitata, l’altro per il resto della zona. I progettisti di questo sistema non si sono resi conto che essi gestivano la dimostrazione che lasciare la zona euro non sarebbe stato niente di più facile.” Dunque, benché sull’isola circoli ancora la moneta unitaria, un euro in una banca cipriota non è equivalente a un euro, per esempio, tedesco. “I conti oltre i 100 000 sono bloccati, i prelievi sono limitati come la capacità di trasferire denaro oltre i confini di Cipro. Dal momento che questi controlli sono in atto – e non si sa quando saranno rimossi – Cipro ha un’altra valuta, la cui parità è ufficialmente fissato a un euro, come il dollaro delle Bahamas rispetto al dollaro USA. Questi controlli sollevano uno dei principali ostacoli finora avanzati all’uscita dei paesi dall’euro; la disorganizzazione economica che ne deriverebbe, la necessità di attuare controlli drastici sui capitali per evitare deflussi di valuta drastiche durante la transizione. Questi controlli sono in atto e una buona parte dei deflussi di capitali hanno già avuto luogo; in pratica, diventa possibile per il paese tornare alla sua vecchia valuta, la lira sterlina cipriota…

Così, nel tentativo di mantenere Cipro ad ogni costo nella zona euro, si è offerta la dimostrazione più lampante che questa uscita è tecnicamente possibile senza drammi o crisi apocalittiche. Non si tratta di una lezione minore da trarre dalla crisi di Cipro; dovrebbe invece essere imparata a memoria”.

Dalla realtà sfuggono solo i mistificatori e gli illusi.

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