Chiude la storica fabbrica Stock di Trieste, si trasferisce in Repubblica Ceca

12 apr. – Tempi duri per i marchi storici dell’alimentare italiano passati in mani straniere. Come nell’ultimo caso della Stock, la scelta di delocalizzare l’attivita’ produttiva segue, la cessione della proprieta’ all’estero avvenuta nel 1995, ma rischiano di fare la stessa fine gli altri marchi dell’agroalimentare italiano che sono passati in mani straniere nell’ultimo anno, per un fatturato di oltre 5 miliardi di euro. Lo sottolinea la Coldiretti nel commentare la decisione della Stock Spirits Group di chiudere la storica fabbrica di Trieste e di trasferire da giugno la produzione nello stabilimento in Repubblica Ceca.

La Stock Spirits Group – riferisce la Coldiretti – e’ stata creata nel 2008 con il sostegno finanziario del fondo americano “Oaktree Capital Management” che aveva acquisito la proprieta’ della Stock dalla Eckes A.G., alla quale era stata ceduta dagli italiani nel 1995. La delocalizzazione industriale – sottolinea la Coldiretti – e’ solo l’ultima fase di un processo che inizia con l’importazione delle materie prime dall’estero da utilizzare al posto di quelle nazionali nella preparazione di cibi e bevande, continua con l’acquisizione diretta di marchi storici da parte degli stranieri e finisce con la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero”. “Una tendenza – continua la Coldiretti – favorita dalla crisi che rende piu’ facile lo shopping straniero in Italia e meno costosa la produzione all’estero.

Dinanzi a tale rischio occorre accelerare nella costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi”. Ad essere presi di mira, segnala la Coldiretti, sono sopratutto i prodotti simbolo dell’Italia e della dieta mediterranea, dall’olio al vino fino alle conserve di pomodoro.

Nell’ultimo anno sono stati ceduti all’estero tre pezzi importanti del ‘made in Italy’ alimentare che sta diventando un appetibile terra di conquista per gli stranieri con la tutela dei marchi nazionali che e’ diventata una priorita’ per il Paese. L’ultimo “pezzo da novanta” del made in Italy a tavola a passare in mani straniere e’ stata – ricorda la Coldiretti – la Ar Pelati, acquisita dalla societa’ Princes controllata dalla Giapponese Mitsubishi.

Poche settimane prima era toccato alla Gancia, casa storica per la produzione di spumante, essere acquistata dall’oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vokda Russki Standard.

La francese Lactalis e’ stata, invece protagonista – sottolinea la Coldiretti – dell’operazione che ha portato la Parmalat finire sotto controllo transalpino. Ma andando indietro negli anni non mancano altri casi importanti, dalla Bertolli, acquisita nel 2008 dal gruppo spagnolo SOS, alla Galbani, anche questa entrata in orbita Lactalis, nel 2006. Lo stesso anno gli spagnoli hanno messo le mani pure sulla Carapelli, dopo aver incamerato anche la Sasso appena dodici mesi prima.

Nel 2005 – continua la Coldiretti – la francese Andros aveva acquisito le Fattorie Scaldasole, che in realta’ parlavano straniero gia’ dal 1985, con la vendita alla Heinz.

Nel 2003 hanno cambiato bandiera anche la birra Peroni, passata all’azienda sudafricana SABMiller, e Invernizzi, di proprieta’ da vent’ani della Kraft e ora finita alla Lactalis. Negli anni Novanta erano state Locatelli e San Pellegrino ad entrare nel gruppo Nestle‘, anche se poi la prima era stata “girata” alla solita Lactalis (1998).

La stessa Nestle’ – conclude la Coldiretti – possedeva gia’ dal 1995 il marchio Antica gelateria del corso e addirittura dal 1988 la Buitoni e la Perugina.
agi

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