Manovra finanziaria: primi segnali positivi. Ma qualche taglio in più non sarebbe stato male…

di Claudio Romiti

A quanto pare, ma occorre esser molto cauti, la Manovra correttiva approvata dal Senato è servita molto a rassicurare i mercati finanziari, consentendo un piccolo recupero alla borsa di Milano ed una attenuazione del cosiddetto spread sui nostri titoli di Stato, anche se il differenziale con i bund tedeschi di riferimento resta a livelli piuttosto preoccupanti. Basti dire che ogni punto di aumento nei tassi d’interesse costa allo Stato ben 16 miliardi di euro. Una enormità tale che ha portato molti analisti a sostenere che se il medesimo tasso dovesse superare il 7% -attualmente il rendimento dei Btp decennalli è oscilla introrno al 5,5%- il sistema pubblico andrebbe in default.

In sostanza, in merito alla situazione italiana, i mercati finanziari hanno manifestato con i fatti una evidente preoccupazione intorno alla continua incertezza sulle misure da adottare. Misure che dovrebbero essenzialmente contemperare l’esigenza di raggiungere il pareggio del bilancio con la necessità di far ripartire la crescità, evitando quindi di far cassa solo per colmare le toppe a danno dei consumi e degli investimenti.

In altri termini, come nel caso delle aziende quotate in borsa, gli stessi mercati finanziari reagiscono positivamente o negativamente sulle prospettive che una determinata azione strategica sembra determinare. Questo significa, in soldoni, che se si realizza una politica di risparmi strutturali, ad esempio innalzando l’età pensionistica o liberalizzando un settore gestito prevalentemente dalla mano pubblica, il sistema Paese migliora decisamente la sua capacità di onorare il debito complessivo, facendo decrescere il rischio d’insolvenza e, automaticamente, i tassi d’interesse sui titoli di Stato.

Ora, il problema di non poco conto è che, come abbiamo già scritto in precedenza, buona parte delle misure messe in campo dal governo sono basate su nuove entrate, pensiamo all’aumento dell’Iva al 21%, la qual cosa potrebbe effettivamente produrre un effetto recessivo tale da vanificare i sacrifici imposti al Paese a causa di una sostanziale perdita di gettito fiscale allargato.

A questo proposito sarebbe stato auspicabile incidere maggiormente sui tagli alla spesa pubblica corrente, alleggerendo il costo complessivo dello Stato. Ma la particolare emergenza e la presenza di troppi veti incrociati all’interno della maggioranza ha probabilmente impedito una azione più incisiva sotto il profilo dei risparmi strutturali. D’altro canto, anche la presenza di una opposizione politico-sindacale di sinistra, abbarbicata ai miti del socialismo, non ha certamente aiutato il sistema politico a procedere verso la direzione corretta. In sostanza, Pd, sinistra radicale e Cgil tra scioperi e manifestazioni non hanno fatto altro che riproporre al Paese la ricetta, esaltandone gli aspetti più deteriori, che ci ha portato alle soglie del baratro: più tasse, più burocrazia, più spesa.

Cavalcando qualunque demagogica richiesta della piazza, gli epigoni del collettivismo all’amatriciana hanno sostanzialmente ribadito la loro vocazione all’esproprio proletario ed alla redistribuzione collettivista delle risorse. Anzichè ripensare criticamente l’assetto complessivo di un Leviatano pubblico che è arrivato a controllare il 53,5 del reddito nazionale, gli eredi del comunismo continuano a far pressione per incrementare ulteriormente questa enorme quanto evidente distorsione.

Il problema, per tutti noi, è che oramai risulta chiaro a chiunque, mercati finanziari e cittadini comuni, che più socialismo non può che tradursi in sicuro impoverimento del sistema economico, con buona pace del risanamento dei conti pubblici.

Claudio Romiti

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