La Cgil proclama lo sciopero al grido di battaglia: “Manovra iniqua e sbagliata”

Susanna Camusso - CGIL

Claudio Romiti

Dunque è deciso: il 6 settembre ci sarà lo sciopero generale di 8 ore della Cgil per protestare contro la Manovra finanziaria del governo. La decisione irrevocabile è stata presa il 23 agosto a Roma nella riunione dei segretari generali di categoria e territoriali.

Al grido di battaglia: “Manovra iniqua e sbagliata”, i dirigenti di quella che una volta veniva definita come la cinghia di trasmissione del vecchio Partito comunista italiano hanno deciso di affrettare i tempi della loro protesta, per anticipare di un giorno il probabile voto del Senato sul provvedimento contestato, previsto il 7 settembre.

Tra le cose dette dal segretario generale Susanna Camusso, un certo rilievo è stato dato all’Umbria nella quale, insieme alla Sardegna, secondo il capo della Cgil “è in atto una pesante crisi del sistema industriale e manifatturiero” e, per questo, “l’assenza di qualsiasi misura finalizzata alla crescita e della minima parvenza di una politica industriale in questa Manovra -ha aggiunto la sostituta di Epifani- rischia di compromettere definitivamente lo sviluppo di queste regioni”. Dichiarazione naturalmente approvata in toto dal segretario generale umbro Mario Bravi, il quale ha rincarato la dose sostenendo che “lo sciopero generale di 8 ore proclamato per il 6 settembre dalla nostra organizzazione è una risposta necessaria di fronte all’ingiustizia, all’iniquità e alla pericolosità della Manovra che il governo ha predisposto e si appresta a varare”.

Parole dure che richiamano alla mente slogan e frasi di lotta di un tempo che fu. Un’epoca non molto lontana in cui la Cgil di Luciano Lama sposava una delirante tesi uscita dalla ubriacatura sessantottesca: il salario come variabile indipendente. Ovvero l’idea alquanto irragionevole di sganciare completamente il reddito dei lavoratori dipendenti dal livello di produttività.

Ma al di là della fuffa propagandistica con cui anche questo sciopero viene proposto, in tema di rapporto con il mondo del lavoro questo sindacato sostiene grosso modo una linea non molto lontana dalla summenzionata utopia. Ogniqualvolta, infatti, si discute intorno ad una azienda in chiare difficoltà produttive, i dirigenti della Cgil sembrano preoccuparsi unicamente dei salari e dei livelli occupazionali, trascurando completamente il quantun del prodotto che in quel dato momento la medesima azienda riesce e realizzare e, soprattutto, a vendere sul mercato. Semmai, come nel caso dello sciopero del 6 settembre, costoro si limitano ad invocare interventi taumaturgici da parte della politica per aumentare, non si sa come, la produttività di una singola impresa, di un comparto o dell’intero sistema economico.

D’altro canto, da bravi epigoni di quella pianificazione economica centralizzata venuta già tragicamente insieme al muro di Berlino, gli attuali esponenti della Cgil ritengono fermamente che il benessere dei loro iscritti e dell’intera classe dei lavoratori di questo Paese si possa ottenere solo per decreto legge, e non certamente per mezzo dello sviluppo spontaneo di quelle poderose forze economiche che solo il mercato e la libera concorrenza possono realizzare, naturalmente attraverso un netto arretramento dello Stato e della sua pervasiva burocrazia.

Claudio Romiti

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