Le tasse verdi e il sistema marcio dello pseudo-ecologismo

Tasse “verdi”, la sconvolgente scoperta certificata dall’Istat

La tassa sui sacchetti dei supermercati, che poi una tassa non è, ma una prestazione obbligatoria da parte dei consumatori a favore dei privati produttori di sacchetti, oltre a fare incavolare le massaie, ha posto la questione delle cosiddette tasse verdi.

Sapete bene la contraddizione di quella norma: nasce per disincentivare l’uso della plastica e non fa che incentivare l’uso di quella biodegradabile. Ma a vedere bene tutte le imposte verdi italiane procurano il medesimo effetto.

A differenza però della prestazione sui sacchetti, ci sono decine di vere e proprie tasse, che consumatori, contribuenti pagano per motivi green e che vengono incassate dal Tesoro. E che, come vedremo, non utilizza certo per ripulire l’ambiente.

Ma andiamo per ordine.

Secondo una recentissima ricerca dell’Ufficio valutazione impatto del Senato della Repubblica nel 2015 il Tesoro ha incassato la bellezza di 55 miliardi di euro in tasse verdi.

Le tasse ambientali sono pagate dagli italiani sotto forme diverse: accise, imposte e tasse. Il 40 per cento del malloppo arriva dall’imposta sugli oli minerali e prodotti derivati, segue l’imposta sull’energia elettrica e oneri di sistema che vale 15 miliardi.

E poi una miriade di mini tasse ambientali.

Vediamole perché c’è da ridere: 7 milioni di euro l’anno arrivano da imposte su imbarcazioni e aerei privati, 1 milioncino in più dagli aerotaxi. Le imposte regionali (beh sì, anche le Regioni devono avere la loro parte) sulle emissioni sonore degli aeromobili valgono 17 milioni.

Insomma avete capito: lo Stato in modo diverso incassa dalle imposte green la bellezza di 55 miliardi l’anno. I 350-400 milioni che verranno sottratti agli utenti dei supermercati per pagare obbligatoriamente il sacchetto bio, non sono ovviamente inclusi, e sono una goccia, neanche troppo piccola, di questo mare.

Secondo l’indagine dei tecnici del Senato il 70% di questi esborsi è a carico delle famiglie e il 26% in capo alle imprese. Inoltre l’agricoltura (attenzione alle vacche) pagherebbe solo una piccola frazione. I tecnici si chiedono se alla luce di questa ripartizione dei costi «una riforma della fiscalità ambientale all’insegna di maggiore equità e trasparenza» sia auspicabile. Facendo capire che le imprese, inquinando più di quanto percentualmente pagano in tasse green, sarebbero avvantaggiate.

Abbiamo dubbi che aumentare il carico fiscale (sotto qualsiasi forma) delle imprese italiane sia una buona idea, soprattutto alla luce di regole, controlli, burocrazie che già le rendono scarsamente competitive all’estero.

Ma il punto è un altro.

L’Istat ha certificato che solo l’1% del gettito delle imposte ambientali «è destinata a finanziare spese per la protezione dell’ambiente». E ancora i politici scelgono di coprire «le spese che costituiscono costi per lo Stato, con un’imposta considerata ambientale dallo Stato stesso». Insomma il gioco delle tre carte.

Il Tesoro incassa 55 miliardi l’anno con prelievi che vengono giustificati per il loro contenuto green e progressista e poi scopriamo che solo 500 milioni di questa montagna di risorse vengono destinate a finalità ambientali.

In effetti poco importa a chi scrive per quale motivo vengano fatti così tanti prelievi dal nostro portafoglio. Non saremmo dunque più contenti se i medesimi 55 miliardi venissero spesi tutti in ambiente.

Ma la beffa, oltre al danno, di raccontarci una cosa per farne un’altra forse è troppo?

Nicola Porro, «Il Giornale» 13 gennaio 2018

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