Una direttiva dello Stato Maggiore della Difesa sta scatenando malumore nelle caserme italiane
Da ora in poi, nelle cerimonie militari ufficiali, sarà vietato pronunciare il celebre “Sì!” che chiude il Canto degli Italiani, l’inno nazionale di Goffredo Mameli. Come racconta “Il Fatto quotidiano”, la decisione, contenuta in un decreto presidenziale del marzo scorso e attuata solo ora, non è passata inosservata tra le file dell’esercito.
Il documento dello Stato Maggiore, datato 2 dicembre, non lascia spazio a interpretazioni: durante eventi istituzionali e manifestazioni militari dove viene eseguito l’inno nella versione cantata, dovrà essere omesso l’ultimo grido. L’ordine è transitato attraverso tutti i comandi, dalla Finanza all’Esercito, con l’indicazione di assicurarne “la scrupolosa osservanza” fino al più piccolo presidio territoriale.
Le ragioni del divieto
Secondo fonti presidenziali, si tratterebbe semplicemente di un adeguamento alla versione originale dell’inno, richiesto dall’ambiente musicale e dalle bande militari. Il decreto del 14 marzo 2025, proposto dal governo Meloni e firmato dal presidente della Repubblica, farebbe riferimento al “testo primigenio” di Goffredo Mameli.
Eppure, la questione filologica presenta aspetti controversi
Nel manoscritto autografo del 1847, conservato al Museo del Risorgimento di Torino, Mameli non inserì alcun “Sì!”. Tuttavia, lo spartito musicale originale di Michele Novaro, quello effettivamente utilizzato e anch’esso pubblicato sul sito governativo, riporta chiaramente l’esclamazione finale.
Novaro aggiunse quella sillaba con intenzione precisa. Nelle sue note spiegò che il crescendo culminava in “un grido supremo, il quale è un giuramento e un grido di guerra”. Chiese persino perdono al poeta per l’aggiunta, giustificandola con l’esigenza espressiva della composizione musicale.
La collaborazione tra i due patrioti produsse un’opera indivisibile: Mameli fornì le parole, Novaro la musica e quell’urlo finale che per oltre 170 anni ha accompagnato l’inno. Entrambi pagarono un prezzo alto per i loro ideali: Mameli morì a ventun anni difendendo la Repubblica Romana nel 1849, Novaro concluse i suoi giorni in povertà , rifiutando compensi economici per il suo lavoro e destinando ogni guadagno alla causa garibaldina.
L’esecuzione dell’inno scelta come riferimento dal Quirinale è quella del 1961 con il tenore Mario Del Monaco, dove effettivamente il brano, dopo i versi “siam pronti alla morte/l ’Italia chiamò” segue solo musica, senza il grido finale. Ma questa interpretazione contrasta con decenni di prassi consolidata e con la versione entrata nell’immaginario collettivo, quella scandita dai tifosi azzurri e risuonata in infinite cerimonie pubbliche.
La storia dell’inno nazionale italiano
Il Canto degli Italiani nacque nel 1847 a Genova, troppo repubblicano per i Savoia che preferirono la Marcia Reale come inno del Regno. Solo nel 1946, alla nascita della Repubblica, venne adottato come inno nazionale, ma con carattere provvisorio. Settantun anni dopo, nel 2017, una legge gli conferì finalmente lo status ufficiale.
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