L’Occidente vive in una fase di suicidio culturale, a cui non osiamo immaginare cosa seguirÃ
di Emiliano Scappatura – Ci risiamo. Nuova fiera editoriale e nuovi lamenti di Zerocalcare. Il fumettista toscano, che con questi metodi si è guadagnato un posto da prima fila nei ranghi di questa sinistra demagoga e piazzaiola, come al solito ha minacciato che non avrebbe partecipato se tutti gli altri non avessero superato i rigidi criteri etici da lui posti perché lui, si sa, è uno di alto sentire e di alto spessore morale e non ama mischiarsi con la melma. In passato, in altre occasioni, questi criteri qualche volta venuti a mancare: o c’era la bandiera israeliana, o un autore di non impeccabile moralità , o un editore che si era macchiato di pubblicare qualche libro molesto.
E insomma o una cosa o l’altra e il giovane, che è molto suscettibile, aveva subito cominciato a lamentarsi e a minacciare la dipartita. Diciamo solo en passant che con questi criteri si potrebbe mandare al rogo quasi tutta la letteratura mondiale, ma non è una battuta purtroppo: in questo Occidente che sta ripristinando la censura woke già nelle migliori università hanno provveduto a buttar fuori Dante, Aristotele, Platone, Shakespeare e via dicendo perché a ben guardare quello era troppo maschilista, quello dissoluto, quello schiavista e quindi i precedenti abbondano. Ma, detto tra noi, se il percorso culturale di questo Occidente doveva partire da Platone per giungere a Zerocalcare forse è giusto che si estingua pure.
Il problema questa volta è un editore che si permette di pubblicare cose che non garbano all’illustre fumettista: troppo di destra. E lui, si sa, si batte per un mondo migliore e non condivide spazi con chi ha delle idee sbagliate (sbagliate, si intende, dal suo punto di vista).
Per parte nostra noi, che siamo figli di una tradizione culturale che il diritto alla critica se lo è strappato con le unghie e con i denti, troviamo obbrobrioso che qualcuno sostenga che ci siano opinioni “sbagliate†e non abbiano diritto ad essere espresse. E ancor più che molti intellettuali facciano quadrato su queste posizioni. Siamo convinti che semmai le opinioni avverse si possono contestare con la forza di altre argomentazioni e non facendogli chiudere la bocca o con i roghi dei libri.
Ma l’Occidente vive in una fase di suicidio culturale, a cui non osiamo immaginare cosa seguirà .
Ma crediamo che il problema non sia solo questo. È difficile non notare dietro questo continuo frignare una certa furbizia. Noi abbiamo l’impressione che dietro questi piagnistei ci sia, neanche tanto nascosta, una certa voglia d’apparire.
C’era, ricordiamo dalle nostre letture, una vignetta di Giuseppe Novello, indimenticato fustigatore delle ipocrisie borghesi d’inizio secolo (ma si tratta di ipocrisie nate con l’umana società ), che metteva al centro i dubbi d’un invitato a un ricevimento che si chiedeva se sarebbe stato maggiormente notato nel partecipare o nel non partecipare. Lo stesso dilemma fu poi ripreso da Nanni Moretti nel film Ecce Bombo: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?â€. Comunque, basta che se ne parli.
E qui Zerocalcare, da consumato demagogo quale è, il risultato lo raggiunge ogni volta in pieno. Tantissime persone a cui del Salone del Libro di Torino, o del Lucca Comics, o della Fiera degli Editori non solo non importa nulla ma addirittura ignoravano persino l’esistenza sanno tutte però adesso di lui e di questa sua nobile protesta. Tanto è vero che molti altri partecipanti, avendo capito il gioco, sono saliti sul suo carro e hanno cominciato a frignare anch’essi: la visibilità è una cosa che vende più dei libri. E se nelle altre occasioni erano pochi ad accodarsi, adesso siccome nessuno voleva restare fuori hanno firmato addirittura un manifesto.
Gli intellettuali italiani non sono nuovi ai manifesti: ne fanno ad ogni occasione e per ogni circostanza. E data la loro tendenza al pecorume, ogni volta nessuno ne vuole restare fuori, non si sa mai. In fondo, in questo paese culturalmente a rischio zero a firmare non ci vuole niente: se le cose vanno bene, c’ero anch’io, se vanno male, non si rischia niente.
Di manifesti il mondo intellettuale italiano abbonda anche perché gli intellettuali di questa nazione, incapaci per antica tradizione di avere un dialogo con il pubblico, non fanno che parlarsi tra di loro. E così abbiamo avuto un manifesto dei fascisti e quello degli antifascisti, quello dei 101 (ma poi, quando le cose si stavano mettendo male, molti ritirarono prudenti e sbraitanti la propria adesione), una specie di vergognosa lettera aperta all’Espresso sul caso Pinelli che di intellettuali ne raccolte addirittura 757 (al momento sembrava conveniente non restarne fuori, ma neanche vent’anni dopo al cambiare del vento nessuno di questi se ne assunse la responsabilità ). Insomma, in un paese dove gli intellettuali sono sempre in mostra alla ricerca di un padrone, le firme non sono mai mancate.
Adesso è venuta fuori una lettera pubblica firmata da ben ottanta scrittori ed editori da quelli più in auge a quelli che vogliono arrampicarsi per diventarlo. Nulla di nuovo sotto il sole della cultura italiana, quindi. Ci sarebbe da sorridere, ma amaramente, di questi sedicenti libertari che in una manifestazione che si intitola “più libri più liberi†chiedono poi di avere meno libri per sentirsi più liberi e lo fanno ponendosi (loro credono) dall’alto della dimensione etica di combattenti del fascismo ma usando dei metodi squisitamente fascisti.
Se questo è l’antifascismo che avanza, stiamo freschi. Ma ce ne eravamo già accorti. Tanti anni fa, vedendo il fetore del nuovo che avanzava, sui muri di Roma qualcuno cominciava a scrivere, con quelle espressioni popolaresche e disincantate tipiche di chi di politica nulla comprende ma avverte il puzzo dell’ipocrisia: “Aridatece er puzzoneâ€. Noi, che di politica crediamo un po’ di comprendere, il fascismo non lo vogliamo e abbiamo sempre detto che una democrazia, pur con tutte le sue magagne, è sempre da preferire a chi ricerca l’uomo del destino: siamo vaccinati a queste forme di misticismo popolare.
Ma di una cosa ai fascisti siamo costretti a render conto rispetto a questi intellettuali a cottimo: che almeno loro, quando la censura la praticavano, lo facevano senza nascondersi, e non prendendoci in giro dicendo che i libri vanno bruciati sì, ma è solo per renderci liberi. Quelli trattavano i lettori da sudditi, questi da imbecilli.
Prof. Emiliano Scappatura

