di Vincenza Palmieri – Succede. Qualche volta succede. Nelle Marche.
Qualche volta succede che in Tribunale leggano relazioni scientifiche oggettive e documentate, invece che basarsi su illazioni, considerazioni, retropensieri e luoghi comuni che spesso si trovano – nell’abuso di questa o quella professione – in molti documenti scritti da operatori dei Servizi Territoriali e che arrivano sui tavoli dei Giudici. Giudici che hanno il compito di decidere il destino di un bambino e di tutta la sua famiglia: genitori, fratelli, nonni, cugini, zii…
Questa è la storia di un bambino – ma anche di una ragazzina ormai quasi maggiorenne – che coinvolge profondamente tutta la famiglia.
È la storia di una bravissima persona, un uomo in gamba, dalla moralità specchiata, che ha commesso un unico “peccato†nella vita, quello di innamorarsi e sposarsi con una donna che, ad un certo punto del percorso, ha iniziato a consumare alcol fino ad abusarne, sconfinando nell’alcolismo.
“Nella buona e nella cattiva sorteâ€, si erano promessi. E questo ha fatto, il marito e padre di famiglia. Non ha abbandonato la moglie in difficoltà , ma l’ha seguita, indirizzata, curata, sostenuta. Mentre si prendeva cura dei figli e si impegnava a tenere unita la famiglia e al sicuro tutti i suoi componenti.
Cosa si rimproverava, dunque, a questo padre? In base a cosa è stato condannato? È stato condannato per non aver immediatamente portato “altrove” i figli. Per non aver gettato la spugna sul proprio matrimonio, sulla propria famiglia, sulla donna che amava e alla quale aveva promesso sostegno di fronte alle difficoltà della vita.
La donna è stata seguita da medici e sottoposta a tutti gli aiuti possibili, fino anche al ricovero in strutture; purtroppo senza successo.
Ma anche quando – dopo innumerevoli tentativi – si è optato per la separazione dei coniugi, la “diagnosi†riportata nella relazione dei Servizi è stata la medesima: non è un buon papà , avrebbe dovuto allontanare i bambini dalla madre prima.
E anche quando, dunque, tale allontanamento era ormai un fatto, i bambini sono stati comunque sottratti al padre che – pure – aveva ormai messo in atto quanto richiesto.
I figli sono stati separati anche tra di loro: posti in due strutture distinte e lontane, con vicissitudini e aggravanti che hanno reso tale passaggio difficile ancora più crudele.
La ragazza, adesso grande, sta frequentando l’Istituto Superiore in un’altra città e ha trovato una sua collocazione nel mondo.
Il piccolo – collocato in comunità – a mala pena riusciva a vedere il padre. Le telefonate erano un’ora al mese e gli incontri in video. Difficile fargli arrivare regali, perfino nel giorno del suo compleanno.
Una vita da condannati, come delinquenti.
Il bambino – che frequentava la parrocchia, gli scout, corsi di tennis e attività pomeridiane – è stato sottratto a tutta la propria vita e parcheggiato per ore in un Centro diurno, una sorta di ghetto per bambini con situazioni difficili, cosa che di fatto lo ha reso un diverso. È stato oggetto di chiacchiere e commenti da parte dei coetanei. Meccanismo che lo ha reso improvvisamente fragile, triste, insicuro, colpito nell’autostima anche da parte del gruppo dei pari. Etichettato come “sfigatoâ€, quando invece era sempre stato un normalissimo ragazzino in gamba, seguito dalla famiglia nelle attività molteplici e ricche di stimoli in cui si distingueva per capacità e impegno.
Fino a che – e qui si vede finalmente luce, in una storia che fino ad ora conteneva solo ombre – il papà non si è rivolto alle persone giuste. Così, chi scrive ha preso in mano l’assurda vicenda di una famiglia spezzata inutilmente, con reiterato accanimento istituzionale.
Grazie anche ad una Relazione Pro Veritate / Controperizia basata esclusivamente sulla descrizione dei fatti e sulle prove oggettive, il Giudice non ha potuto far altro che interrompere l’illegalità che si stava perpetrando ai danni dell’intero nucleo familiare. E ha disposto di riconsegnare il bambino ai suoi affetti.
Il bambino è tornato a casa
È una storia che non si poteva non raccontare. Una storia che meritava giustizia.
Perché bisogna essere professionisti seri, quando si tratta di bambini e famiglie. E bisogna porre l’accento sui Servizi che spesso compilano relazioni cariche di luoghi comuni e concetti copia-incolla.
Perché ogni bambino è un mondo a sé e ogni famiglia è il mondo di quel bambino. E, prima di scrivere illazioni e condanne sulla carta, bisogna fare particolare attenzione: inviare al Giudice dati oggettivi, privi di generalizzazioni, raccontando la storia, la genesi, comprendendo con chi si abbia a che fare e quali possano essere gli esiti di “messe in sicurezza” sconsiderate.
Questo è il lavoro che spetta ai Tecnici: non quello di condannare – attraverso un fiume di parole dannose – bambini e famiglie.
Sono molto onorata di aver potuto dare il mio contributo scientifico per la liberazione di questo bambino.
Dedicato a tutti i papà coraggiosi.
Vincenza Palmieri

