Oggi di 40 anni fa, Sergio Ramelli cessava di vivere in un letto dellâOspedale Maggiore di Milano dopo unâinterminabile agonia. Aveva 19 anni. Quarantotto giorni prima era stato aggredito davanti alla sua casa da un commando militante di sinistra e massacrato a colpi di chiave inglese; gli aprirono il cranio spappolandogli il cervello senza pietĂ .
Lâomicidio Ramelli, per ferocia, follia e crudeltĂ , fu uno dei piĂš efferati degli anni â70. Lui, giovane militante di destra, non era un picchiatore nĂŠ un fascista, almeno per come lâimmaginario conformista dei custodi dellâipocrisia dipingeva i giovani del Msi. La sua principale colpa era stata quella di aver scritto in un tema in classe (reso pubblico nella bacheca della scuola) che quelli delle Brigate Rosse erano terroristi. In quellâItalia imbevuta di follia ideologica la veritĂ anche piĂš banale poteva trasformarsi in una condanna a morte.
Ci vollero 10 anni perchĂŠ i colpevoli venissero individuati e processati; tutti, nel frattempo, divenuti professionisti (medici, magari ricercatori universitari in Svizzera) o stimati politici del Pci.
Ad uccidere Ramelli furono i militanti di Avanguardia Operaia che di operaio non avevano nulla: un gruppo di figli di papĂ imbevuti dâideologia e di violenza rivoluzionaria; studenti di medicina e rampolli della buona borghesia milanese. Un film giĂ visto.
PRIMAVALLE
Due anni prima a Roma, nel quartiere popolare di Primavalle, un altro gruppo di giovani borghesi, stavolta di Potere Operaio, aveva incendiato la casa di un netturbino missino e della sua famiglia, mentre dormivano. Nel rogo erano morti due dei suoi sei figli: Virgilio di 22 anni e Stefano di 8.
La foto di Virgilio Mattei affacciato alla finestra che chiede disperatamente aiuto per sĂŠ e per il fratellino mentre le fiamme lo divorano farĂ il giro del mondo e rimarrĂ lâemblema degli anni â70 e di un odio che si autoalimentava come quelle fiamme.
Dopo lâattentato, gli assassini lasciarono una scritta in strada: âGiustizia proletariaâ; solo che i proletari erano quelli ai quali loro avevano dato fuoco.
Quando al processo di primo grado i colpevoli furono assolti, andarono a festeggiare nella villa di Fregene di uno di loro, a calici di champagne, insieme al gotha dellâintellighenzia romana: da Alberto Moravia a Dario Bellezza, da Renato Schifano a Ruggero Guarini (che ricorderĂ lâepisodio con non poca vergogna, ventâanni dopo). Un brindisi sui cadaveri carbonizzati di due ragazzini.
I CATTIVI MAESTRI
In quegli anni câera unâItalia colta, raffinata, intellettuale e spesso ricca che giocava alla rivoluzione addestrandosi sulla pelle dei ragazzi di destra. Era unâItalia fatta di giovani borghesi di sinistra che volevano liberare il proletariato ammazzando giovani proletari di destra; in questo difesi e legittimati da intellettuali borghesi inebriati di stupiditĂ ideologica e fanatismo, che puntuali, ad ogni omicidio, scendevano in campo a difendere i loro compagni assassini e il proprio disonore, a mobilitare coscienze o a sottoscrivere appelli che erano condanne a morte (come quello con cui sancirono la fine del commissario Calabresi).
A questa giostra dâinfamia partecipò lâĂŠlite culturale italiana: Adriano Sofri, Dario Fo, Franca Rame, Umberto Eco, Camilla Cederna, Furio Colombo, Eugenio Scalfari, Paolo Mieli, Giorgio Bocca, Oliviero Toscano, Dacia Maraini, Gae Aulenti furono solo alcuni dei nomi che contribuirono a quella stagione di odio. Alcuni di loro nel tempo ammisero gli sbagli, altri hanno continuato con il loro violento disprezzo ideologico.
Giuseppe Ferrari Bravo, uno degli assassini di Ramelli, racconterĂ che alla notizia della morte del giovane, cercò di tranquillizzare i suoi compagni ricordando che in fondo nei cortei in centinaia urlavano âmorte ai fascistiâ. E aveva ragione, cosĂŹ come sui giornali o dietro le cattedre universitarie, gli intellettuali di sinistra insegnavano: âuccidere un fascista non è un reatoâ. E quindi cosa dovevano temere le loro coscienze? Nulla, e in fondo neanche le loro esistenze visto che furono condannati in primo grado solo per omicidio preterintenzionale; e quando due anni dopo fu riconosciuto lâomicidio volontario, solo in due si fecero la galera e solo per lâaggiunta di altri reati. I restanti scontarono pene alternative e regimi sostitutivi, rimanendo liberi.
Negli anni in cui in Italia, la borghesia e gli intellettuali di sinistra brindavano a cadaveri e champagne, in Cecoslovacchia la borghesia e gli intellettuali di Charta â77 morivano o finivano in esilio lottando per la libertĂ contro il comunismo. E forse questa la differenza che colorò di piombo gli anni â70 incrociando il destino di Sergio Ramelli con quello di decine di ragazzi di destra e di sinistra vittime sacrificali di cattivi padri e ipocriti maestri.

