
Evviva il piano industriale della Rai. Osanna alle megadirezioni. Calici al cielo a Saxa Rubra. Bene. Detto questo, finisce la lottizzazione?
Ieri il presidente Marcello Foa ha rivendicato dalle colonne del Messaggero come merito di viale Mazzini i giudizi contrapposti. “Ci chiamano alternativamente TeleKabul o TeleVisegrad“. Il che sarebbe segno di equilibrio. In realtà è ancora da compiere la rivoluzione del cambiamento nel servizio pubblico radiotelevisivo.
Tredicimila dipendenti tra giornalisti e non, additati a più riprese come l’emblema della lottizzazione di Stato. Ogni sei assunzioni bisogna prendere uno bravo, si diceva al tempo.
Ahinoi, i partiti sono famelici e a ogni cambio di maggioranza diventa quasi naturale premere per “i nostri”, di qualunque parrocchia. Ma negli anni ci sono state generazioni intere che hanno partecipato a concorsi aperti a tutti, con selezioni assolutamente elevate, e chi le ha superate ha diritto ad essere assunto. Se merito, non potete sbattermi la porta in faccia.
Vincono i concorsi ma la Rai non li assume
Si dà il caso che in panchina ci siano quasi duecento vincitori di concorso – “idonei” – ai quali non viene data una risposta. Ci sono graduatorie per l’esaurimento delle quali è stato necessario persino un intervento legislativo del Parlamento. Legge di stabilità per il 2018, comma 1096 (governo Gentiloni): la Rai, se vuole assumere nelle sue redazioni, deve attingere alle “graduatorie 2013 e 2015 di giornalisti professionisti riconosciuti idonei”. Traduzione: quella norma è stata approvata dal Parlamento, è legge vigente. Il governo gialloverde non l’ha abrogata. La Rai del presidente Foa e dell’amministratore delegato Salini non dovrebbe fare altro che attuarla. “Signori della lottizzazione, la pacchia è finita“, attendiamo di sentir dire dal settimo piano di viale Mazzini.
Tanto per chiarire, i due concorsi citati nella legge videro la partecipazione di migliaia di persone. Mentre la graduatoria 2013 è praticamente in esaurimento, improvvisamente ci sono problemi per quella 2015. Tremila gli aspiranti, 392 furono dichiarati idonei. Di questi 201 sono stati presi, 191 sono ancora a spasso.
Serve un atto di giustizia. A livello politico lo hanno sollecitato sia Fabio Rampelli che Federico Mollicone di Fratelli d’Italia; e nella scorsa legislatura anche i Cinque stelle; mancano le voci di chi decide a rappresentare il disagio di chi si è messo in fila per superare una selezione, vincendola ma sentendosi beffato. Nel consiglio di amministrazione della Rai c’è anche il rappresentante dei dipendenti dell’azienda, Riccardo Laganà . Che dovrebbe dire la sua. Ma il tutto non può essere ridotto a problema politico o sindacale, a questione di parte. Occorre solo capire se si vuole affermare finalmente il valore della meritocrazia nell’azienda del servizio pubblico radiotelevisivo.
Segnale formidabile a tutta Italia
Ci pensi, il presidente Foa: se lo facesse la Rai sarebbe un segnale formidabile a tutta Italia, la fine dei potentati e l’inizio della speranza per tanti giovani che ormai rinunciano persino a farli, i concorsi. Certo, magari non sarà contenta qualche gerarchia sindacale modello Usigrai, ma questo non significa che ci si debba arrendere ad un modello antico.
Il cambiamento può partire anche da qui. E questa Rai ha la forza di poterlo fare, rendendo merito e giustizia a chi ha dato fiducia all’azienda partecipando alle selezioni. Ora tocca a voi.
