L’utilizzo degli asset russi resta un ‘nodo’, visto che all’interno della Ue non c’è ancora unanimità sull’argomento
In occasione del vertice informale di Copenaghen che si è svolto a inizio mese, si è registrato un “consenso crescente” sull’idea di far pagare i costi della guerra in corso in Ucraina non solo ai “contribuenti europei”, ma anche alla Russia: in quella sede, i leader europei hanno avviato un confronto su come impiegare i flussi di cassa generati dai beni russi congelati – cioè i proventi derivanti dal rimborso dei titoli di Stato e delle obbligazioni giunte a scadenza – per finanziare un prestito dell’Unione europea destinato all’Ucraina.
L’idea è che Kiev dovrebbe restituire quelle somme a Mosca solo dopo che la Russia avrà versato le riparazioni di guerra dovute per l’aggressione, trasformando così un immobilizzo finanziario in uno strumento concreto di solidarietà e responsabilità internazionale.
Intanto dal Cremlino arriva un monito diretto a Roma: l’Italia “non sia complice del furto del secolo”, perché l’utilizzo degli asset russi congelati nell’ambito delle sanzioni a Mosca per la guerra in Ucraina si configurerebbe come “un reato finanziario che rischia di ostacolare notevolmente la possibilità di ripristinare la cooperazione commerciale-economica con la Russia per molti anni“, si legge in un lungo post pubblicato sui social dall’ambasciatore russo a Roma, Alexei Paramonov.
L’accusa dell’ambasciatore è che tali beni verrebbero utilizzati per “comprare armi da aziende americane ed europee per l’Ucraina per infliggere una ‘sconfitta strategica’ alla Russia, continuando così la distruzione dell’Ucraina e la guerra fino all’ultimo ucraino”. ADNKRONOS