Il piano di Draghi: 800 miliardi per salvare l’Europa

Mario Draghi e von der Leyen

L’Unione europea si trova di fronte a una “sfida esistenziale” e deve capire che se non vuole rinunciare al suo modello sociale, deve diventare più produttiva e innovativa, altrimenti sarà schiacciata dalla concorrenza di Stati Uniti e Cina. È il messaggio che arriva dal tanto atteso rapporto di Mario Draghi, che oggi (lunedì 9 settembre) è stato finalmente presentato a Bruxelles. La Commissione europea aveva chiesto un anno fa all’ex capo della Bce e premier italiano di scrivere un report su come l’Ue dovrebbe mantenere la sua economia competitiva in un momento di maggiore attrito globale.

Più investimenti

Nella sezione iniziale di un rapporto di circa 400 pagine, Draghi afferma che il blocco ha bisogno di investimenti aggiuntivi per 750-800 miliardi di euro all’anno, fino al 5% del Pil, molto più alti anche dell’1-2% del Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. I Paesi dell’Ue hanno già risposto alle nuove realtà, si legge nel rapporto di Draghi, ma la loro efficacia è limitata dalla mancanza di coordinamento: i diversi livelli di sussidi tra i Paesi disturbano il mercato unico, la frammentazione limita la scala necessaria per competere a livello globale e il processo decisionale dell’Ue è complesso e lento.

“Sarà necessario riorientare il lavoro dell’Ue sulle questioni più urgenti, garantire un coordinamento efficiente delle politiche verso obiettivi comuni e utilizzare le procedure di governance esistenti in un modo nuovo che consenta agli Stati membri che lo desiderano di agire più rapidamente”, si legge nel rapporto.

Più innovazione

Negli ultimi due decenni la crescita dell’Ue è stata costantemente più lenta di quella degli Stati Uniti, mentre la Cina stava rapidamente recuperando terreno. Europa e Cina rappresentano entrambe il 17% del Pil mondiale mentre gli Usa il 26. Solo che l’Ue a differenza dei due importanti concorrenti non riesce a diventare più competitiva e innovativa, e si sta adagiando sui risultati economici ottenuti in passato ma non riesce a stare al passo coi tempi.

L’Europa deve riorientare profondamente i suoi sforzi collettivi per colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate“, afferma Draghi nel report, denunciando che “l’Europa è bloccata in una struttura industriale statica, con poche nuove imprese che sorgono per sconvolgere i settori esistenti o sviluppare nuovi motori di crescita”.

L’ex premier sottolinea ad esempio che solo quattro delle 50 aziende tecnologiche più importanti al mondo sono europee e che negli ultimi cinquant’anni non è stata creata da zero alcuna società dell’Ue con una capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi di euro, mentre nello stesso periodo sono state create tutte e sei le società statunitensi con una valutazione superiore a mille miliardi di euro.

Sostenere le start-up

Negli Usa nascono quindi più giganti economici con i quali non siamo in grado di competere. “Poiché le aziende dell’Ue sono specializzate in tecnologie mature in cui il potenziale di innovazione è limitato, spendono meno in ricerca e innovazione (R&I) – 270 miliardi di euro in meno rispetto alle loro controparti statunitensi nel 2021”, afferma Draghi. E quindi molte nuove imprese europee pure preferiscono trasferirsi dall’altro lato dell’Atlantico.

“Molti imprenditori europei preferiscono chiedere finanziamenti ai venture capitalist statunitensi e scalare sul mercato americano. Tra il 2008 e il 2021, quasi il 30% degli ‘unicorni’ fondati in Europa – startup che hanno superato il miliardo di dollari di valore – ha trasferito la propria sede all’estero, la maggior parte negli Stati Uniti”, denuncia Draghi nel report.

Transizione ambientale

Per l’ex premier oltre a sostenere l’innovazione tecnologica, bisogna anche sostenere la transizione ambientale, ma bisogna farlo in modo intelligente. A suo avviso serve “un piano comune per la decarbonizzazione e la competitività”, ma tenendo presente che “se non riusciamo a coordinare le nostre politiche, c’è il rischio che la decarbonizzazione sia contraria alla competitività e alla crescita”. Infine per Draghi la terza area di intervento è “l’aumento della sicurezza e la riduzione delle dipendenze”.

Per l’ex numero uno della Bce c’è bisogno di una vera e propria “politica economica estera” dell’Ue con Bruxelles che “dovrà coordinare gli accordi commerciali preferenziali e gli investimenti diretti con i Paesi ricchi di risorse, costituire scorte in aree critiche selezionate e creare partenariati industriali per garantire la catena di approvvigionamento di tecnologie chiave”. (https://europa.today.it/economia) – foto Commissione UE