La madre di tutte le sanzioni fa flop. L’UE si piega a Putin

von der Leyen e Putin

I barili di Urals vengono ormai abitualmente venduti sopra 80 dollari, il greggio Espo ha superato i 90 dollari, il diesel è sopra i 100 dollari. Gli Stati Uniti ammettono: “Il cap sta perdendo efficacia”.

È ormai il segreto di Pulcinella, tutti lo conoscono ma fanno finta di non esserne a conoscenza. La Russia sta vendendo il suo petrolio abbondantemente al di sopra del price cap di 60 dollari fissato nel regime di ritorsioni occidentali per l’invasione militare dell’Ucraina. Così come sta vendendo il suo diesel oltre i 100 dollari. Il tetto al prezzo delle sue esportazioni energetiche, ovvero la madre di tutte le sanzioni che avrebbe dovuto deprimere la principale fonte di reddito del Cremlino con cui finanzia la sua guerra evidentemente non funziona, o comunque non funziona più. Lo ha dovuto ammettere, con ritardo, anche la segretaria al Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen.

Ormai il prezzo del greggio degli Urali è più vicino ai 100 dollari che ai 60 dollari, limite imposto dal G7, e “ciò indica una certa riduzione nell’efficacia del tetto al prezzo”, ha detto ai giornalisti durante una visita in Georgia. Come sul fronte militare, insomma, l’atteggiamento ormai manifesto dei leader occidentali sulla reale efficacia delle misure adottate nei confronti di Vladimir Putin testimonia un apparente disinteresse nei confronti di un conflitto sempre più dispendioso sia dal punto di vista degli armamenti, sia da un punto di vista energetico, di inflazione e in sostanza politico. O quantomeno questa è l’impressione.

“La Russia ha speso una grande quantità di denaro, tempo e sforzi per fornire servizi per l’esportazione del suo petrolio”, ha detto Yellen. “Ha ampliato la sua flotta ombra, fornito più assicurazioni e questo tipo di commercio non è proibito dal tetto”. Tutte cose ben note agli analisti del mercato che da tempo hanno messo in guardia i Governi occidentali sul fatto che si andava verso un costante aggiramento delle sanzioni. Ma per evitare un ulteriore inasprimento dei prezzi si è evidentemente scelto di non incrementare le misure nei confronti di Mosca. Il greggio appare destinato a raggiungere presto i cento dollari al barile, con il Brent del Mar del Nord che la scorsa settimana ha superato i 94 dollari al barile, prima di calare. Molti osservatori danno per certo, entro la fine dell’anno, un prezzo ancora in ripresa mentre prosegue la strategia della Russia e dell’Arabia Saudita. I due Paesi hanno guidato il taglio obbligatorio della produzione petrolifera dell’Opec+ e poi hanno adottato tagli volontari per tenere sotto pressione il prezzo del barile. Mosse che stanno dando i risultati sperati.

Così è accaduto che se in un primo momento la Russia vendeva all’India barili a forte sconto, nel tempo ha potuto recuperare grazie all’aumento dei prezzi generale da un lato, e dalla riduzione della scontistica dall’altro. Secondo quanto riferito da alcuni trader all’agenzia Reuters, la contrazione dell’offerta globale di greggio e l’aumento dei prezzi internazionali ha portato Mosca a vendere a Nuova Delhi i suoi barili a circa 80 dollari l’uno, cioè il 30% in più rispetto alla soglia fissata dal price cap del G7. A non dire dell’Espo, altra tipologia di greggio russo destinato all’estremo oriente, principalmente la Cina, che viene ormai venduto a novanta dollari, pochi dollari in meno del Brent, benchmark internazionale.

Il greggio russo ha quindi un prezzo compreso tra il 28 e il 45% rispetto al limite del G7 a seconda della qualità, mentre il gasolio in Europa nordoccidentale è valutato a 135 dollari al barile (il limite è di 100 dollari), tuttavia secondo quanto riportato dal sito di analisi Lloyd’s, oltre 140 delle circa 300 petroliere tracciate che hanno lasciato otto principali porti di esportazione in Russia nel corso di settembre aveva l’assicurazione occidentale. Le compagnie assicurative dei Paesi Ue, Usa, Canada e Gb non possono trasportare o assicurare carichi di greggio se il prezzo è superiore al price cap fissato dalle sanzioni. Ma com’è noto, la documentazione necessaria al trasporto dei carichi consiste in una mera autocertificazione che deve essere nota solo su richiesta alle autorità, e comunque non pubblica.

“I mercati dei prodotti petroliferi appaiono fortemente tesi a causa dei recenti limiti alle esportazioni”, ha affermato la banca australiana ANZ, citando il divieto temporaneo della Russia sulle esportazioni di diesel e benzina e il piano della Cina di limitare le quote di esportazione per i prodotti petroliferi, secondo quanto riporta Montel. “Ciò vedrebbe un rallentamento delle esportazioni di prodotti petroliferi dalla Cina per il resto dell’anno”, ha aggiunto, aggravato dal fatto che “le raffinerie negli Stati Uniti chiuderanno le loro operazioni per la manutenzione annuale”.

https://www.huffingtonpost.it

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