Studenti e caro-affitti, la farsa della “campeggiatrice” Alice

Alice

di Giovanni Sallusti (www.liberoquotidiano.it) – Vorrei focalizzare l’attenzione del lettore su un dramma contemporaneo, sviscerato ieri in tutte le sue urticanti pieghe dal Corriere della Sera, giornale degli ultimi e degli afflitti. Il caso di Alice Melideo, ventenne studentessa del Politecnico milanese, è però obiettivamente per stomaci forti, quindi proveremo a raccontarlo col maggior tatto possibile. Alice, come cantava De Gregori nell’omonima canzone, «Non ti chiede mai pane o carità/ E un posto per dormire non ce l’ha».

Non ce l’ha a Milano, dove lo vorrebbe, perché purtroppo non siamo in Unione Sovietica, dove i prezzi degli appartamenti li stabilisce lo Stato, ma coltiviamo ancora l’usanza reazionaria di farli decidere dai proprietari degli stessi. È in questo contesto di turboliberismo selvaggio e affamatore che s’inserisce la straziante storia di Alice. «Dopo le superiori, ho cercato una casa in città, ma non mi conveniva per tempi e costi». Legittimissima valutazione, il mancato incastro domanda/offerta è un accidente sempre possibile del mercato (se poi diventa la norma, sarà l’offerta stessa a doversi ripensare, l’ha spiegato bene un tizio che si chiamava Adam Smith, ma d’altronde Alice non studia economia, bensì “scuola di fumetto”).

19 MINUTI

Il fatto è che, dopo la libera scelta di sottrarsi al mercato degli affitti meneghino, per Alice è iniziato il calvario, ovvero (e la penna del cronista comprensibilmente si fa tremebonda dalla commozione) «la scelta forzata di fare la vita da pendolare». Evenienza condivisa da tre o quattro generazioni prima della sua, ma il punto dirimente, ovviamente, è dove Alice abita.

Va collocato sulla mappa, il suo dramma quotidiano, la sua personalissima odissea necessita di coordinate spazio-temporali, per essere compresa appieno. Alice, e ci prende un nodo alla gola solo a scriverlo, vive a Seregno. Che non è nemmeno provincia di Milano, dannazione, bensì di Monza-Brianza. Certo, appena più vicino al Politecnico rispetto a Crotone, ma pur sempre, tenetevi forte, a circa venticinque chilometri di distanza. Un filo di più, addirittura, di una mezza maratona.

Certo, Alice non risulta ancora obbligata da questo governo di criptofascisti a coprire la tratta a piedi, gli Stati moderni hanno previsto da qualche decade una rete di infrastrutture e di trasporti pubblici, la Lombardia peraltro non risulta nemmeno l’ultimissima Regione italica in proposito. Colti da vaghe reminiscenze universitarie (chi scrive addirittura ai tempi copriva su rotaia la distanza tra Como e Milano, evidentemente era un eroe epico a sua insaputa), siamo andati sul sito di Trenitalia. È abbastanza facile, ma immaginiamo che Alice ne sia al corrente.

Selezionando “Seregno” alla voce stazione di partenza e “Milano” alla voce stazione di arrivo, si ottiene il tempo di percorrenza: diciannove minuti. Di-cian-no-ve minuti. Meno che da un capo all’altro della metropolitana. Meno di un’edizione di telegiornale, meno della metà di un tempo di una partita di calcio. Soppesate voi il parametro che preferite, e avrete le proporzioni del dramma di Alice.

Tra l’altro, noi l’abbiamo fatta ancora facile. Perché, potrebbe giustamente far notare chiunque si sia preso a cuore la via crucis della disgraziata ragazza, lei deve recarsi al Politecnico, mica finisce in Stazione Centrale il viaggio della speranza. E il tempo di percorrenza tra le stazioni di Seregno e Milano-Bovisa Politecnico raddoppia addirittura: tren-tot-to minuti. Sempre meno di un tempo di una partita di calcio, per carità. Ma, come trova la forza di dichiarare Alice al Corriere: «È pesante» – un minatore potrebbe avere qualche obiezione, ma probabilmente sarebbe un elettore della Meloni, ndr. «Per questo essere qui è la battaglia di tutti».

Myrta Merlino

IL PIGIAMA

Qui sarebbe in piazza Leonardo Da Vinci, di fronte al Politecnico, dove pochi giorni fa la studentessa bergamasca Ilaria Lamera (se il pendolariato da Seregno è percepito come “pesante” dai virgulti millennial, da Bergamo dev’essere pari alla tratta degli schiavi nelle piantagioni dell’Alabama) ha lanciato la protesta delle tende contro il caro-affitti. Alice, annota sempre sul Corriere il corrispondente dalla trincea, «dormirà nella tenda bianca che chiude il cerchio». «Ma ero preparata», precisa subito la temeraria «avevo i pantaloni invernali del pigiama». Tutto, persino una notte in tenda con i pantaloni invernali, pur di non dover affrontare ogni mattina l’esodo da Seregno a Milano. Ecco, messa così ci viene l’improvviso ma ineludibile sospetto che tutta questa ribellione delle tende sia, per dirla in aulico linguaggio universitario, una lievissima presa per il culo.

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