Accusato di stupro si fa un anno in cella, ma la peruviana ha inventato tutto

Filippo Facci per ”Libero Quotidiano

La sintesi è questa: lui è stato in galera per oltre un anno con l’ accusa di stupro, per rinchiuderlo era bastata l’ accusa di una connazionale peruviana che si era inventata tutto, il pubblico ministero aveva chiesto sette anni di carcere e aveva indagato così bene che l’ interrogatorio alla testimone chiave (mai sentita dall’ accusa) ha dovuto farlo in extremis il giudice del dibattimento, che poi ha anche interrogato la connazionale peruviana (la vittima) che infine ha confessato, e ha detto: mi sono inventata tutto; notare che il pubblico ministero che aveva chiesto la condanna, nel giorno in cui la falsa vittima è crollata e ha confessato, non era neppure presente in aula e si era fatta sostituire, dopodiché la sostituta, forse imbarazzata, ha chiesto ugualmente una condanna a sette anni nonostante la confessione.

Risultato: lui assolto e scarcerato, questo grazie al giudice e nonostante il pubblico ministero. Morale: noi gli pagheremo l’ ingiusta detenzione, il giudice ha fatto le verifiche che doveva fare il pm, il pm non si capisce che cosa abbia fatto se non incarcerare un innocente in base alla sola parola di una mitomane, e chiedere poi, indirettamente, che fosse condannato anche dopo che era stata dimostrata la sua innocenza. Dopodiché facciamo i nomi dei giudici, anche se in genere tendiamo a evitarli per non sovraesporre una professione sin troppo delicata che corrisponde al giudicare, disporre della libertà personale altrui, rubare un anno di vita che non tornerà, marchiare per sempre la vita di una persona.

Il pubblico ministero si chiama Monia Di Marco, che in passato – unica notizia trovata in rete – aveva firmato un appello in difesa di Laura Boldrini in cui esprimeva «profonda indignazione e grande preoccupazione per le offese volgari e sessiste ricevute da donne che rivestono cariche istituzionali anche di massima importanza». Siamo certi che questo pm saprà fornire delle spiegazioni – che ovviamente non è tenuta a fornire – senza le quali il suo comportamento parrebbe inspiegabile. Il giudice invece ha una certa esperienza e si chiama Ambrogio Moccia: se non fosse stato per lui la vita di un uomo sarebbe stata sequestrata per sette anni con un marchio infamante.

Ma raccontiamola da capo: magari l’ abbiamo capita male. Nell’ ottobre 2018 una peruviana di 40 anni sporge denuncia e racconta che una decina di giorni prima era stata violentata in un parco della zona Lorenteggio dove spesso si riuniscono gruppi di peruviani; il pubblico ministero manda ad arrestare l’ uomo il 17 ottobre del 2018 con l’ accusa di stupro di gruppo: ma la posizione di un altro peruviano sarà stralciata perché non sarà mai trovato. Non sappiamo quali indagini (e di che qualità) siano state fatte nel frattempo, sta di fatto che l’ uomo viene lasciato in carcere per tutto il tempo e anche per tutta la durata del processo.

La difesa nega tutto, spiega che la presunta vittima e il presunto stupratore si conoscevano bene e produce anche alcune chat tra i due, ma poi lui aveva denunciato lei per un’ aggressione e da questa denuncia era scaturita una rissa tra lui, lei e alcuni amici di lei. Dopodiché era spuntata la denuncia della peruviana per violenza sessuale e, di passaggio, furto della sua borsa.

IL PROCESSO

Ripetiamo: non conosciamo molti dettagli, sta di fatto che il processo giunge alla requisitoria dell’ accusa e all’ arringa della difesa (con lui dentro) ma il quadro generale non sembra chiaro per niente: ed è qui che i giudici (Moccia-Messina-Papagno) su richiesta della difesa decidono di convocare una testimone che era presente quella sera al parco e che tuttavia l’ accusa non aveva neppure mai convocato. Morale: la testimone racconta tutta un’ altra storia che combacia con la versione che l’ accusato aveva dato subito dopo l’ arresto: ma quale stupro, c’ era stata solo una mezza rissa tra lui, lei e un’ altra donna per via di alcune storie vecchie.

Colpo di scena, destinato ad accrescersi più tardi, quando viene chiamata sul banco dei testimoni anche la presunta vittima dello stupro: la quale, in aula – non sottoposta, cioè, a particolare pressione – crolla e confessa dopo una serie di domande del presidente del collegio, Ambrogio Moccia.

La vittima non è una vittima e ammette di non esser mai stata violentata. A questo punto le parti richiedono la parola per le repliche, ma la Procura (non la pm Monia Di Marco, che non c’ era) chiede lo stesso la condanna a sette anni. No comment. I giudici assolvono l’ imputato disponendo che sia scarcerato subito. Amici come prima, fine della storia. Anzi no.

Qualcuno ci spieghi, per favore. La pm Monia Di Marco ci spieghi.

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