Un macigno sul welfare: curare gli immigrati ci costa 4 miliardi

Costi folli per l’Italia. In un anno 53mila prestazioni sanitarie. Anche per quelle malattie che sembravano sparite.

Di Antonella Aldrighetti – – il giornale

La filastrocca ripetuta a pappagallo sul fatto che gli immigrati accolti nel nostro Paese pagheranno pensioni e welfare a tutti mentre avranno soltanto una residuale ripercussione sui costi assistenziali, perché si tratta di popolazione giovane con fabbisogni contenuti, si rivela un fantasioso bluff.
Infatti dal rapporto realizzato da Oecd Expert Group on Migration e relativo al 2016 viene fuori che, in Italia, i costi sanitari per gli immigrati sono stati pari a 4 miliardi di euro. E che lo scorso anno gli immigrati inseriti nei Servizi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) hanno usufruito di quasi 53 mila prestazioni assistenziali.

Si tratta di somme impegnative che secondo la Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) devono essere razionalizzate. L’operazione dovrebbe essere possibile seguendo le «Linee guida per uniformare i controlli sanitari ai migranti»: un documento stilato dalla stessa Simm in collaborazione con l’Istituto nazionale per la promozione della salute dei migranti (Inmp) e con l’ausilio dell’Istituto superiore di sanità (Iss). Il vademecum di intervento riguarda tante patologie riemergenti ovvero patologie che in Italia erano considerate pressoché debellate o comunque presenti in numero esiguo a parte l’Hiv. Tubercolosi, epatite, malaria, parassitosi intestinali, infezioni sessualmente trasmissibili e non ultimo il retrovirus dell’immunodeficienza.

Per far fronte alla cura il manuale consiglia di adoperarsi in questo modo: «Eseguire una prima valutazione sanitaria allo sbarco, procedere alla visita medica vera e propria nei centri di prima accoglienza, sottoporre quindi l’immigrato a vaccinazione preventiva e, nei casi necessari, indagare a fondo con lo screening appropriato su anamnesi e fattori di rischio». Assistenza che proseguirà nei centri di seconda accoglienza e durante gli eventuali percorsi di integrazione. Inoltre a tutte le donne in età fertile viene specificato che verrà fornito il test di gravidanza. Esempio di spesa calzante: se il prezzo minimo per grandi quantitativi è di 5 euro a confezione, siamo sicuri che questa strada sia giusta per ridurre la i costi? «Fino a oggi i controlli sui migranti sono stati dettati dall’emotività e anche dai pregiudizi. Con queste linee guida si può finalmente dimensionare il problema» chiosa Salvatore Geraci, responsabile dell’area sanitaria della Caritas, già presidente della Simm e ora nel comitato direttivo.

Quanto invece agli altri screening consigliati si fa presto a conteggiare che per ogni immigrato le indagini di rito, tra analisi cliniche, test diagnostici, vaccinazioni, cure e profilassi si arriverebbe forse anche a superare la soglia dei mille euro. Le patologie da indagare e quindi curare partono dalla Tbc (l’incidenza negli stranieri sbarcati è pari a 0,17 per cento a Catania, a 0,5 per cento a Mineo e in Piemonte; 1,8 in Lombardia) alla malaria che nel 2015 nell’Africa sub sahariana ha prodotto 429 mila morti. Così per l’epatite B dove il 25 per cento dei casi in Italia è riferito ai migranti mentre, per l’epatite C, l’incidenza è pari al 3 per cento.

Poi ci sono le parassitosi intestinali: tra il 15 e il 46 per cento e picchi possibili fino al 69 per cento. Per le infezioni sessualmente trasmissibili (clamidia 4,2 per cento, gonorrea e sifilide 0,5 e tricomoniasi 0,6 ) si possono raggiungere anche picchi di incidenza tra il 4,2 e il 5 per cento. Quanto all’Hiv secondo l’Unaids nel 2015, nei territori subsahariani, ci sono stati 1,4 milioni di nuovi casi di cui 100 mila bambini, per il WHO il 35 per cento in Nigeria.

Le nuove linee guida consigliano di eseguire a tutti gli immigrati, dai 16 anni in su il test Hiv. Quanto a chi si dovrà sobbarcare i costi la risposta è chiara: fino allo scorso anno le spese sanitarie erano ripartite tra regioni e Viminale, da quest’anno sono tutte in capo alle regioni. Vale a dire che graveranno sul budget di ciascun ente territoriale alimentato dalla quota Irpef pagata da ciascun cittadino.

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