Su Trump interviene Guazzoloca che mise fine a 54 anni di dominio comunista su Bologna

“Terra bruciata anche intorno a me. La mia colpa? Aver vinto le elezioni, battendo il Pci”

intervista_guazzaloca

di Alessandra Nucci

Per cinque anni è stato il volto della riscossa possibile, colui che aveva osato guidare una lista civica contro la sinistra meglio organizzata dell’Occidente. Oggi, Giorgio Guazzaloca, è un signore di 72 anni con problemi di salute ma ancora appassionato alle vicende politiche.

Fatte le debite proporzioni, l’arrivo di Donald Trump dopo 8 anni di una presidenza che ha radicalizzato l’America fa un po’ l’effetto che ebbe sull’Italia la sua elezione a sindaco di Bologna, dopo 54 anni di regno totalizzante della sinistra.

Domanda. Anche lei ha notato similitudini fra il suo caso e quello del neo-Presidente americano?

Rispondi. Non ci vogliamo allargare troppo, ma alcune similitudini ci sono; ormai facciamo parte di un sistema che si ripete a livello mondiale.

D. Per esempio?

R. Primo: la tattica dell’opposizione di banalizzare dicendo “Non ha vinto lui, abbiamo perso noi». Secondo loro, possono aver perso solo perché non hanno saputo comunicare abbastanza bene, ma il loro prodotto era comunque migliore. È un modo di disconoscere il valore del vincitore.

D. Secondo?

R. L’atteggiamento del mondo dell’informazione, di cui una parte significativa non è più “cane da guardia» del potere, ma è potere esso stesso. E non solo nella stampa (che, tra l’altro è in pochissime mani, quella che conta) ma anche nelle tv che spesso sono molto più potenti.

D. Anche lei, come Trump, ebbe problemi con la stampa?

R. Li cercai, i problemi. Misi sotto accusa Repubblica, che modificava gli avvenimenti per arrivare a mettere in cattiva luce il sindaco e la giunta, cioè me e i miei più diretti collaboratori.

D. Molto anti trumpiano, come stile. Allora, in base alla sua esperienza, che consigli darebbe a Trump se ne avesse l’occasione?

R. Che io dia dei consigli al Presidente degli Stati Uniti mi pare un po’ esagerato.

D. Si parla per ipotesi

R. Io smisi di parlare con la stampa quando, alla fine di un convegno sull’ambiente, mi chiesero cosa pensavo della storia di Alba Parietti con il consigliere comunale Stefano Bonaga. Al Presidente americano direi semplicemente: continui a fare come adesso, perché quei politicanti suoi oppositori, quei giornalisti, sono come il cane del riflesso pavloviano. Può darsi anche che sia naïf, Trump, ma è un grande dilettante e quindi è difficile intercettarlo.

D. Lei si considerava un dilettante?

R. Io sono un dilettante. È tutta questione di non entrare nei meccanismi prestabiliti, perché, a quel punto, gli altri non sono in grado di decifrarti e quindi di neutralizzarti. Gli altri vivono da anni dentro a un invariabile ticchete-tac, e non capiscono chi esce dalle righe. Quando i dilettanti hanno spessore sono imprendibili.

D. Cosa intende per meccanismi prestabiliti?

R. Intendo il politicamente corretto, che ha preso il posto delle ideologie. Il grande pericolo di Hillary Clinton era l’implementarsi del politicamente corretto, di cui Barack Obama e la moglie erano stati i principali attuatori.

D. Lei in America c’è andato, e si incontrò con Rudolph Giuliani.

R. Un incontro simbolico, con il sindaco più importante del mondo; apprezzavo la sua politica di riparare la prima finestra rotta per bloccare sul nascere il degrado.

D. Fa bene Trump a bloccare gli arrivi dai paesi islamici?

R. Fa bene se lo fa come ricognizione temporanea, per monitorare la situazione.

D. Ha detto anche che intende privilegiare gli immigrati cristiani.

R. Del resto il cardinal Biffi, quasi vent’anni fa, sosteneva con forza e grande lungimiranza che gli immigrati di religione cristiana si integrano meglio nel mondo occidentale.

D. Trump ha contro anche una parte del suo partito. Lei chi aveva contro?

R. Di fatto, tutti, anche quelli che mi appoggiavano, perché temevano che non fossi abbastanza duro con la sinistra, dopo che l’avevamo sconfitta.

D. Si diceva che in Comune gli impiegati, che erano ancora quelli dell’amministrazione comunista, avessero installato sugli schermi dei computer la foto di Cofferati.

R. Cofferati era imbattibile, in quel momento. Aveva tutto l’apparato dalla sua, e anche i media. A ogni sua iniziativa i giornali gonfiavano i numeri dei presenti oltre ogni logica. Al suo famoso comizio al Circo Massimo, quello con il quale mandò a cuccia persino D’Alema, attribuirono 3 milioni di partecipanti. Ma in quella piazza (il calcolo è della facoltà di architettura dell’università di Roma, sulla base di un affollamento da soffocamento, di tre persone a metro quadrato) in quella piazza, dicevo, ci stanno, al massimo 120 mila persone, comprese le vie adiacenti.

D. Dunque si può dire fake news , cioè bufale, già da allora: notizie false, l’etichetta inaugurata da Trump nei riguardi dei media disonesti

R. Però, oltre ai media io, da sindaco anomalo di Bologna, avevo contro anche gli apparati istituzionali: mi bocciarono il metrò con una manovra sottile, che solo chi ha in mano i gangli burocratici poteva attuare. In queste cose sono super-sofisticati.

D. Cioè? Come facevano?

R. Per fermarsi al metrò: era già interamente finanziato quando al Cipe ci fu la votazione per la sua approvazione, ma l’assessore ai trasporti della Regione Emilia Romagna abbandonò l’aula, facendo mancare il voto della Regione.

D. E perché?

R. Penso affinché dopo 30 anni non si potesse dire che era il metrò di Guazzaloca.

D. Lei però non è stato da meno: ripristinò cose che loro avevano avuto cura di rimuovere: la statua di San Petronio, e la statua di Ugo Bassi davanti a quanto resta del Grand Hotel Brun

R. Ho fatto ciò che ritenevo giusto fare, senza ricorrere a trucchetti.

D. Trump dall’inizio della campagna elettorale si è contrapposto frontalmente all’establishment. Lei però cercava di rendere sfocate le differenze, andava a giocare a briscola all’Arci

R. Io giocavo a carte con persone con cui avevo molte assonanze. Ma per la mia amministrazione parlano i fatti: feci tutto quello che mi ero prefisso, all’infuori del metrò: dal trasferire i gay dal Cassero a portare in borsa la multi-utility Hera. Come diceva Lenin, «I fatti sono cocciuti». O, come mi disse una volta il Cardinal Biffi: «I fatti, nemmeno Dio li può cambiare».

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