Povera Italia, Patria stuprata: tra poco sarà perduta per sempre

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di Eugenio Benetazzo

Circa un mese fa il Governatore del Veneto, Luca Zaia, è stato ripreso in più occasioni per le sue esternazioni riguardanti l’africanizzazione del Veneto a fronte della questione immigrati, clandestini, rifugiati che ormai occupa come argomento core quasi tutti i talk show nazionali. Immaginate pertanto dopo la pausa estiva, quando riprenderà la consueta programmazione televisiva, che tipo di serate vi aspettano se vi sintonizzerete su un programma di approfondimento di qualche emittente nazionale. Tra tutti i venti governatori di regione possiamo mettere al primo posto proprio il Governatore del Veneto per il consenso che ha raggiunto sul territorio, il suo operato da governatore ed anche la tipica simpatia veneta che lo contraddistingue. In Veneto ormai ci sono oltre 520.000 extracomunitari/stranieri, almeno per quello che riguarda le cifre ufficiali. Nel 1991 erano appena 230.000, non in Veneto, ma in tutta Italia, pari allo 0.4% di tutta la popolazione nazionale: quell’anno è considerato lo zero cronologico per quanto riguarda la metamorfosi sociale che contraddistingue il nostro paese in quanto quelli che hanno la mia età si ricorderanno di sicuro del mercantile Vlora attraccato a Bari con un carico di 20.000 albanesi che scappavano dal regime comunista di Albania.

La popolazione straniera/extracomunitaria ormai si avvicina ai 6 milioni, con un peso complessivo in percentuale superiore al 10 % rispetto alla popolazione autoctona: sostanzialmente per dare un’immagine piuttosto che una asettica percentuale, immaginate che il Veneto e il Friuli Venezia Giulia siano due regioni con popolazioni non più di lingua italiana, e né tanto meno per cultura o per discendenza genetica. Significa che se ci andaste per fare una gita turistica le lingue parlate che potreste sentire sarebbero quella rumena, filippina, pakistana, egiziana, nigeriana, ucraina, albanese oltre a tante altre ancora. Ora, in Italia l’aberrante deriva catto-comunista di quasi tutto l’establishment di governo unitamente alla stampa radical-chic ha imposto quasi fosse un mantra la propria visione e ideologia a tutti gli altri i quali devono accettarla senza contestazione minima quasi fossimo tutti i seguaci di una setta piuttosto che i cittadini di una nazione. Chiedetevi in tal senso se è mai stata effettuata una consultazione elettorale in passato in cui vi è stato chiesto se volevate integrarvi con culture e persone a voi diverse oppure se avreste preferito proteggere e preservare la vostra identità nazionale. La tematica rilanciata dal Governatore del Veneto sul rischio e pericolo di africanizzazione della regione al pari dei rischi che corrono praticamente anche tutte le altre regioni italiane rappresenta una delle variabili esogene che determineranno il declino e la fine di quello che chiamavamo una volta Italia.

A fronte del conflitto economico su scala planetaria tra tutte le nazioni, un paese che vanta risorse uniche e distintive, non acquisibili o replicabili da parte delle altre nazioni concorrenti, dovrebbe avere tra le tante priorità nazionali quella di proteggere e preservare quasi maternamente tali risorse. L’italianità, in sintesi il fatto e la capacità di distinguerci da tutti gli altri in termini di stile, eleganza, cultura, fascino, ingegno e creatività, rappresenta una peculiarità che in tutto il mondo ci viene invidiata ed al contempo ammirata. Rappresenta un asset non tangibile di tutta la nazione, un valore insito nel nostro territorio ed osmoticamente connesso con il suo patrimonio genetico che consente di creare altro valore partendo dal nulla. Tuttavia l’introduzione forzata di altre culture, sconnesse e distanti dalla nostra, senza alcun elemento selettivo, diventa controproducente per il mantenimento di quel vantaggio competitivo che possiamo ancora sbandierare. L’Italia, a parere di chi scrive, al pari di altre nazioni come ad esempio ha fatto il Giappone, non avrebbe dovuto mai per nessuna ragione accettare al proprio interno culture e popolazioni profondamente diverse e spesso in conflitto con quella italiana. In Giappone, la seconda economia occidentale del mondo, la popolazione è autoctona al 99%, provate ad andare da loro a parlargli di integrazione, vi diranno che l’integrazione per alcuni paesi porta alla disintegrazione sociale ed economica dell’intera nazione.

Ogni tanto penso a quello che mi dicono le guide turistiche degli altri paesi, quando accompagnano le comitive di turisti nei centri storici delle grandi città italiane: rimangono quasi tutti amareggiati e delusi nel vedere come in queste parti vitali delle città siano presenti più stranieri ed esercizi commerciali esotici ed etnici gestiti da stranieri che italiani stessi. Non parliamo dopo dello stesso sentiment italiano legato ormai alle tragiche conseguenze di tutta questa ondata di diversamente bianchi che ci è stato imposto di accogliere: tutte le persone che frequento e che incontro day by day desiderano vivere in aree quartieri residenziali in cui i vicini di casa non siano popolazioni che provengono da esotiche parti del mondo e con cui è praticamente impossibile sia dialogare che provare ad integrarsi in quanto i primi a non volerlo fare sono proprio i nuovi ospiti arrivati. Godetevela ancora pertanto questa povera Italia stuprata: tra un quarto di secolo la sua bellezza e la sua attrattiva saranno completamente state svilite o perdute per sempre. Questo è un tema ricorrente in uno dei libri che ho scritto tre anni fa, Era il mio paese. Quei pochi e lungimiranti italiani che vorranno preservare la loro italianità saranno costretti ad auto-ghettizzarsi in comunità e contesti residenziali in cui per entrare servirà un pass di riconoscimento e soprattutto la referenza di presentazione di altri propri simili. Non che sia una novità hanno dovuto fare lo stesso gli wasps negli USA per proteggere e preservare la propria identità al pari di una razza morente in via di estinzione.

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