Così la Fallaci è finita dalla parte sbagliata

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Riportiamo da la nazione la risposta del’editorialista Marcello Mancini alla domanda di un lettore su Oriana Fallaci e Firenze

– Caro Mancini chissà che cosa direbbe oggi Oriana Fallaci, che 15 anni fa ci mise in guardia dal pericolo islamico. Ma soprattutto vorrei che lei mi spiegasse perché, mentre l’Italia la celebra e le dedica fiction tv, Firenze, che è la sua città, non le ha ancora intitolato una strada.

Olinto Sussi, Gavorrano

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Risponde Marcello Mancini

Il caso di Oriana Fallaci è l’esempio inquietante di come in Italia, la peggior politica riesca a inquinare valori universali e li trasformi in una guerricciola fra partiti. Immaginatevi Oriana che dice: “Fiorentino parlo, fiorentino penso, fiorentino sento. Fiorentina è la mia cultura e la mia educazione. All’estero, quando mi chiedono a quale Paese appartengo, io rispondo: Firenze”. Eppure Firenze non le ha voluto dare, da viva, il Fiorino simbolo della fiorentinita e non la ritiene ancora degna, dopo morta, del nome scolpito sul muro di una strada o piazza della città dove è nata.

“Tenetevela, la vostra strada”, avrebbe gridato la Fallaci di fronte al pretesto istituzionale che le impedisce questo onore: cioè al regolamento toponomastico del Comune, che prevede siano passati dieci anni dalla morte per poter avviare le procedure. Naturalmente è una scusa, perché le regole sono fatte per essere modificate, quando serve. Il punto è che la sinistra fiorentina vede la Fallaci come un nemico, la considera una donna di destra e l’ha consegnata quindi al Pantheon degli appestati, da quando si scagliò contro l’Islam per le Torri Gemelle e perciò l’accusarono di incitare all’odio razziale: in realtà prevedeva solo quello che sarebbe accaduto negli anni successivi, fino all’attentato di Tunisi, dieci giorni fa.

E peggio ancora venne trattata quando l’ingombrante figura di questa grande fiorentina – orgogliosa della sua città e ascoltata in tutto il mondo – si mise in mezzo alla tolleranza del comune di Firenze verso gli immigrati e i loro bazar nel centro storico; e poi imbracciò di nuovo la sua passione per inveire contro il Social Forum no global del 2002, che Comune e Regione Toscana sbandieravano come conquista progressista e invece l’altra Firenze, ovviamente quella dei commercianti, degli artigiani e dei moderati, temeva più di un’orda di barbari sulla città; e infine cercò di far spostare da piazza del Duomo una tenda alzata da un gruppo di immigrati somali, ultimo atto del suo presunto razzismo che era soprattutto allarme verso il pericolo del fanatismo islamico e un po’ difesa del centro della civiltà europea, che vedeva in pericolo

Questo è’ bastato per collocarla dalla parte “sbagliata” e per impedire (finora) che Firenze le tributasse l’omaggio che il resto del mondo mai avrebbe osato negarle.

 

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