Turchia: in quattro anni sono finiti in carcere 180 giornalisti

Turchia-prigione

11 OTT – ”La questione e’ se in Turchia i diritti umani devano essere considerati secondo gli standard europei o quelli mediorientali”. A parlare e’ Erkan Ipekci, presidente del Sindacato dei giornalisti turchi (Tgs), premiato dall’Unione nazionale cronisti italiani (Unci) con l’International Reporter of the Year Award.

Un riconoscimento – consegnato nei giorni scorsi a Camaiore (Lucca) – per la battaglia che il suo sindacato sta conducendo a difesa delle decine di giornalisti arrestati, licenziati e condannati.

La Turchia è ”il piu’ grande carcere per giornalisti d’Europa”, sottolinea Ipekci. ‘‘Dal 2009 sono finiti in prigione 183 colleghi, 63 dei quali sono tuttora in carcere – precisa in un’intervista ad ANSAmed -. Da quell’anno infatti si sono cominciati a sentire maggiormente gli effetti degli emendamenti alle norme contro il terrorismo e quelle al codice penale introdotte nel 2005 anche con il supporto dell’Europa”. In effetti il nuovo codice penale vedeva si’ un adeguamento alle richieste da Bruxelles – in una fase di piena trattativa per quell’adesione di Ankara all’Unione Europea che ora sembra lontana piu’ che mai – con un appesantimento delle pene per le torture ed i maltrattamenti polizieschi, ed una maggiore protezione delle donne e dei bambini. Ma era stato criticato sia dagli ambienti laici che da quelli giornalistici, che temevano che il premier Tayyip Erdogan avesse contestualmente fatto passare anche norme in favore degli ambienti islamici e altre per tenere sotto pressione la stampa. Veniva infatti prevista la possibilità del carcere per i giornalisti, insieme a molte norme – sottolinea Ipecki – che restringono la libertà di espressione. Ma sono soprattutto le accuse di terrorismo ad aver condotto in carcere molti colleghi – insiste il presidente del sindacato dei giornalisti turchi – dopo l’intercettazione di semplici telefonate di lavoro e la pubblicazione di articoli, foto e interviste considerate come prova di attività illegali.

La maggior parte dei cronisti e’ in carcere per presunta appartenenza a organizzazioni dichiarate illegali come il Pkk ed il Kck curdi, o per i presunti tentativi di golpe legati al processo ‘Ergenekon’, che ha coinvolto non solo alti vertici delle forze armate ma anche giornalisti – venti dei quali condannati a pene molto pesanti – e si è concluso con una quindicina di ergastoli.

”Prima delle manifestazioni di Gezi Park – ricorda Ipecki – il governo aveva creato, passo dopo passo, un clima di paura nell’intera società, che si sentiva sotto pressione e non trovava canali per esprimersi anche per l’autocensura negli stessi media, condizionati dallo stesso clima”. Anche le richieste delle organizzazioni giornalistiche, aggiunge, erano state respinte. Per questo le proteste dei mesi scorsi, a Gezi Park e piazza Taksim a Istanbul, rispondevano all’esigenza, da parte della gente, ”di trovare nuove forme di espressione”.

In quelle manifestazioni anche i giornalisti sono stati vittime della repressione, ”e si sono contati oltre 100 colleghi feriti in due mesi”, precisa il presidente del Tgs. Inoltre, secondo il Comitato internazionale per la protezione dei giornalisti, sei settimane dopo la protesta anti-governativa vi erano già 72 giornalisti licenziati.

”Chiediamo alla pubblica opinione in Europa – conclude Ipekci – di fare pressione sul governo turco affinche’ cambi le sue leggi. Anche l’ultimo pacchetto di ‘riforme’ per la ‘democratizzazione’ – quello che ha tra l’altro toldo il divieto del velo islamismo negli uffici pubblici, ndr – non parla di libertà di stampa, ma solo di liberta’ religiose”. (ANSAmed).

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