Bancopoli: I baffetti del quartierino

Da Umanità Nova, numero 1 del 15 gennaio 2006

dalema

Come era abbastanza facile prevedere stiamo arrivando al capolinea. Lo si capisce dalle intercettazioni telefoniche. “Geni” della finanza che parlavano al telefono tra loro come neanche due tossici alle prime armi dello spaccio. Questi non sono solo pessimi finanzieri, pessimi politici, pessimi banchieri, sono anche pessimi malavitosi! Si sono fatti beccare con le mani nella marmellata dal primo giudice che ha deciso di indagare sulla questione, anzi dal secondo, visto che il primo è finito sotto inchiesta con l’accusa di aver spifferato tutto agli indagati.

Si sentivano troppo sicuri, come i socialisti dei bei tempi andati, ci manca solo che diano del “mariolo” a Fiorani e ci troviamo pari pari trasportati indietro di una quindicina d’anni, all’inizio di tangentopoli, a Craxi ed a Chiesa.  Eppure sembrava tutto facile. Una banca (la Antonveneta) era nelle mire sia di una banca estera già sua azionista (l’olandese ABN Amro) sia di una banca italiana (la Popolare di Lodi, poi diventata Popolare Italiana), intervenuta a salvarne “l’italianità”.

Messa così non ci sarebbe stata neanche ragione di parlarne: la banca olandese (la tredicesima in Europa) è molto più grande della Lodi, che oltretutto è anche più piccola della stessa Antonveneta. Visto che la Lodi capitalizza 2,4 miliardi di Euro e la Antonveneta ne capitalizza 7,6 l’unico risultato possibile dell’intervento dei lombardi sarebbe stato quello di alzare (e neanche di troppo) il prezzo dell’acquisizione per gli olandesi.  Invece entra in gioco Fiorani, che oltre a comprare azioni della Antonveneta direttamente con la sua banca, comincia a prestare soldi a improbabili finanzieri che comprano azioni anche loro.

Siccome è vietato dalla legge mettersi d’accordo per scalare una società quotata in borsa senza dichiararlo, la guardia di finanza si interessa all’operazione e comincia ad intercettare le telefonate di tutte le persone coinvolte (che, visto che agivano “di concerto”, vengono etichettati come “concertisti”).

Contemporaneamente a quest’operazione però, gli stessi scalatori comprano le azioni di un’altra banca, la BNL, in quel momento oggetto di scalata da parte di una banca spagnola: Banco Bilbao y Vizcaya Argentaria (BBVA).  Inizialmente non è chiaro per conto di chi stiano operando, per quanto sia evidente che stanno comprando per conto di qualcuno. Una volta raggiunta la maggioranza si scoprirà che il “qualcuno” è l’Unipol, la compagnia assicuratrice delle Coop.

Per capire perché l’Unipol (che capitalizza 4,8 miliardi di euro) voglia comprare la BNL (che ne capitalizza 8,08 il doppio) bisogna fare un passo indietro e parlare di un’altra banca, il Monte dei Paschi di Siena. È al Monte dei Paschi che D’Alema aveva piazzato il responsabile del suo staff elettorale a Gallipoli: Vincenzo De Bustis.

De Bustis è uno molto industrioso, il buon De Bustis, aveva preso una banchetta di provincia (la banca del Salento) si era inventato una serie di prodotti finanziari che aveva chiamato come i titoli di stato (Bpt-Tel, Btp-Index e Btp-Online), ma che invece erano quelle che in gergo si chiamano junk-bonds (obbligazioni spazzatura) titoli ad altissimo rischio che raramente fruttano guadagni a chi li compra ma che fanno guadagnare sempre chi li emette.

Aveva addirittura cambiato il nome della Banca in Banca 121 (faceva più new economy) e grazie a queste operazioni è riuscito a vendere la sua banchetta al Monte dei Paschi per 1,3 miliardi di euro, uno sproposito. Non contenti della fregatura presa quelli del Monte dei Paschi hanno dovuto pure nominarlo direttore generale della banca per volontà di D’Alema. Il noto barcaiolo cercava di crearsi un polo finanziario controllato da lui.

Per questo motivo il Monte dei Paschi oltre alla Banca 121 stava acquisendo la Banca Toscana, la banca Agricola Mantovana e la Cassa di Prato.  Per fare il salto vero gli ci voleva però una grossa banca e fu allora che si cominciò a pensare alla BNL.  Per poter fare un’operazione del genere il Monte da solo non bastava e così cercarono alleanze, sia con Unipol, sia con la Hopa di Gnutti e Caltagirone.

I senesi del Monte però mal sopportavano sia De Bustis, sia il progetto, che li avrebbe ridotti in minoranza in un’operazione dove quelli che avrebbero deciso tutto dopo la fusione sarebbero stati solo i politici (D’Alema e company).  Fortunatamente per i senesi, De Bustis, che non ha perso né pelo né vizio, è finito indagato per truffa grazie all’invenzione dei prodotti finanziari “My way” e “4 you”: venivano presentati come piani d’accumulo pensionistico in realtà erano dei mutui contratti al tasso del 7% annuo dove il cliente doveva restituire in quindici anni l’ammontare del mutuo. I soldi del mutuo erano nella disponibilità della banca che li investiva dove meglio credeva. È chiaro che se le rate pagate dai clienti, invece di andare a rimborsare un mutuo non richiesto, fossero state investite in BOT al tasso del 3%, la convenienza per i sottoscrittori ci sarebbe stata solo se la banca avesse garantito un rendimento superiore al 10% annuo del capitale investito. Da qui l’accusa di truffa.

Per questo motivo De Bustis si dovette dimettere ed il progetto di fusione con BNL fu mandato in soffitta ed i senesi tirarono un sospiro di sollievo.

Il vertice diessino però al progetto è rimasto affezionato e come si è ripresentata l’occasione ci ha riprovato utilizzando Unipol invece del Monte dei paschi.  Purtroppo però una compagnia assicuratrice non è una banca e non si riesce a spiegare tanto bene perché Unipol si sia voluta comprare la BNL strapagandola. È a questo che si riferiva Fassino, quando diceva al telefono a Consorte “perché il problema è adesso dimostrare che noi abbiamo… voi avete un piano industriale”.

I protagonisti del vecchio progetto non sono però rimasti con le mani in mano in questa nuova operazione.  Vicenzo De Bustis è cascato in piedi (come al solito per quelli come lui) diventando amministratore delegato di Deutsche Bank Italia. Deutsche Bank ha prestato a Riccucci più soldi di quanti non ne abbia prestati allo stesso la banca di Lodi; è vero che il prestito è stato materialmente concesso dalla filiale londinese, ma è molto difficile che De Bustis non ne fosse a conoscenza.

Il Monte dei Paschi, invece, ci ha tenuto a prendere le distanze da tutta l’operazione. Ha dichiarato da subito che non avrebbe concorso all’aumento del capitale di Unipol necessario per pagare la BNL ed ha schierato la Coop Toscana, con cui è strettamente connesso, contro il progetto.  Il protagonista di tutta la vicenda è allora diventato l’ex presidente di Unipol, Giovanni Consorte.

Abruzzese di Chieti, ingegnere chimico, è un uomo fortunato. A fine dicembre 2004 la banca Popolare di Lodi gli concede, senza garanzie, un prestito di 4 milioni di euro. Lui li investe in borsa su titoli particolarmente rischiosi e indovina tutte le operazioni senza sbagliarne neanche una e, a giugno, già poteva vantare guadagni per 1,6 milioni di euro. E dire che tre anni prima aveva dimostrato di non capirne nulla di finanza.

Unipol aveva emesso delle obbligazioni al 2,25% che scadevano nel 2005. All’improvviso, e in maniera del tutto irrazionale, decide di rimborsarle nel 2002, tre anni prima della loro scadenza. Sarebbe bastato che, con i soldi delle obbligazioni, avesse comprato i BTP2005 (allora al 4,65%) per guadagnarci, senza far nulla, 12,8 milioni di euro.

Nei giorni precedenti l’annuncio del rimborso qualcuno ha fatto incetta di quelle obbligazioni guadagnandoci i soldi che l’Unipol aveva deciso di buttare. Per questa storia poi è finito indagato per insider trading Emilio Gnutti, la moglie e sei amici loro.  C’è da dire che, per la legge del contrappasso, adesso Consorte è indagato per avere ricevuto, proprio da Gnutti, venticinque milioni di euro in nero, giustificandoli come consulenze e che secondo i magistrati sono frutto di un giro azionario risalenti a quando i due hanno cominciato a fare affari insieme, all’epoca della privatizzazione della Telecom. Ve la ricordate, quella con D’Alema al governo.

Il passaggio decisivo di quella scalata (la prima della serie) si ebbe con la scelta di D’Alema, comunicata a Mario Draghi (sì, quello nominato a fare il governatore in Banca D’Italia), di non far partecipare il tesoro (all’epoca principale azionista di Telecom) all’assemblea azionaria in cui si doveva decidere la fusione tra Telecom e Tim per far fallire la scalata messa in atto da Gnutti, Colaninno, Lonati, Consorte e un Riccucci alle prime armi.  Ai desiderata di D’Alema (che definì gli scalatori “capitani coraggiosi di razza padana”) aderirono, all’epoca anche Fazio (il fondo pensioni di bankitalia era il secondo azionista) e il Monte dei Paschi (di De Bustis) che ci mise un po’ di soldi.

I nomi sono gli stessi anche stavolta, manca Colaninno che non è entrato in questa partita, ha comprato la Piaggio con l’aiuto di De Bustis e sta in finestra, ma gli altri ci sono tutti, la solita compagnia di giro, i baffetti del quartierino!  Ed a proposito del baffetto originale, ha destato un certo scalpore la scoperta che D’Alema avesse un conto corrente nella Banca Popolare di Lodi. D’Alema ha chiarito subito che il conto gli serve unicamente per pagare il mutuo di 8.000 euro al mese per la barca Ikarus 2 e che divide il costo con due amici.

Certo è un po’ strano fare un contratto di mutuo con una banca che, a Roma, ha solo tre sportelli, tutti lontanissimi sia da casa di D’Alema, nel quartiere Prati, sia dal cantiere navale, a Fiumicino.  La mia preoccupazione però è un’altra e riguarda le sorti finanziarie di D’Alema. Quando si scoprì che godeva di un appartamento in affitto a prezzo agevolato (la cosiddetta “affittopoli”) dovette comprarsi casa.

Fece un mutuo con il Banco di Napoli per 250 milioni di lire al 4,6%
annuo. Poi decise di comprare casa per i figli nello stesso palazzo dove
abita e ha preso un altro mutuo, decennale, di 500 milioni alla Banca del
Salento (sì, proprio quella dell’amico De Bustis).

Insomma, di riffa o di raffa, la famiglia D’Alema deve tirare fuori sui
6.000 euro al mese di mutui. Visto che per sua stessa ammissione D’Alema
dà la metà del suo stipendio di parlamentare al partito, io comincio
seriamente a temere per la sua sopravvivenza. Che sia costretto a
rinunciare alle scarpe da 2.000 Euro?

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