Primavera araba o inverno mediterraneo?

di Stefano Nitoglia

26 ago – Il 2011 è stato l’anno della cosiddetta “Primavera araba”, ovvero delle rivolte scoppiate nell’Africa del Nord e nel Medio Oriente contro i regimi dittatoriali locali.

Ad aprire le danze è la Tunisia, dove i moti iniziano il 17 dicembre 2010, innescati dal gesto disperato di un ambulante, Mohamed Bouazizi, che si da fuoco per protestare contro il sequestro da parte della polizia della sua merce. La rivoluzione dilaga in tutto il paese fino a quando il 13 gennaio 2011 il presidente tunisino Ben Alì è costretto a fuggire all’estero dopo 24 anni di dittatura.

Contemporaneamente, la protesta si diffonde in tutto il Nord Africa. Il 28 gennaio 2011 viene dato alle fiamme il quartiere generale del Partito Nazionale Democratico di Hosni Mubarak, in Egitto. Il 16 febbraio si verificano scontri nella città libica di Bengasi. Più o meno nello stesso periodo scoppiano proteste in numerose città della Siria. Mubarak viene arrestato, processato e condannato all’ergastolo. Gheddafi viene catturato e ucciso il 20 ottobre 2011.

Si tratta, come sostiene la maggior parte della stampa occidentale, che ha sposato con entusiasmo la rivoluzione araba, di movimenti spontanei scoppiati all’improvviso, di vere e proprie “primavere” o non, piuttosto, di qualcos’altro, che nulla ha a che vedere con la stagione della fioritura e della speranza?

A proposito della spontaneità dei fenomeni rivoluzionari, va segnalata una versione secondo la quale nei mesi precedenti l’autunno del 2010 vi sarebbero stati contatti informali tra personalità libiche del regime, poi passate con i rivoltosi, e personalità dei servizi segreti e dell’amministrazione francese [1]. L’interesse di questi ambienti dai contorni non ben definiti non si sarebbe limitato alla sola Libia, ma avrebbe riguardato anche gli altri paesi dove sono scoppiate le rivolte antigovernative.

Detto questo, non si vuole, in questa sede, fare l’apologia dei passati regimi, tutt’altro, ma soltanto cercare di capire cosa accadrà in quei paesi, cioè quali saranno gli sviluppi della situazione che si è venuta a creare, sia in relazione alle locali minoranze cristiane, sia in riferimento ai rapporti politici, diplomatici, culturali e religiosi con l’occidente.

Facciamo un passo indietro e andiamo al momento della nascita dei regimi che ora sono crollati.

La fine della seconda guerra mondiale segna anche l’inizio della fine dei vari regimi coloniali. Chi prima, chi dopo, gli imperi coloniali si disfanno e i popoli, prima soggetti, acquistano l’indipendenza.In Nordafrica e in Medio Oriente le nuove nazioni vedono l’affermarsi, a partire più o meno dagli anni ’50 dello scorso secolo, di regimi socialisti e nazionalisti di stampo laico. Tra essi, il più importante è il partito Baath, fondato da un cristiano, Michel Aflak, e nel quale convivono esponenti politici di tutte le fedi.

Si tratta di una situazione invero un po’ paradossale per paesi musulmani, perché i concetti di nazione e di laicità sono estranei all’islam classico, che non ammette la separazione tra sfera religiosa e sfera politica e ingloba i vari popoli nella grande comunità islamica detta “ummah”, dove vige la legge del Corano.

I nuovi regimi nazional socialisti sono comunque costretti a fare i conti con la società civile, ancora profondamente permeata dai costumi islamici. I princìpi di libertà religiosa, hanno una durata effimera: inseriti nelle Costituzioni dei paesi musulmani negli anni Venti del secolo XX, scompaiono dalle carte costituzionali nella seconda metà di quel secolo. Da allora, la maggior parte delle Costituzioni dei paesi arabi afferma, invece, che il diritto musulmano è una fonte principale, o la fonte principale del diritto [2].

Insomma, il concetto di laicità del potere statale, che ha la sua origine nei princìpi della Rivoluzione francese, esportati in Egitto e, quindi, negli altri paesi musulmani, dalle campagne napoleoniche e diffusi dalle logge massoniche impiantatesi in Nord Africa e in Medio Oriente al seguito dell’imperatore francese, innestandosi negli statuti dei paesi musulmani acquista un significato del tutto particolare e diverso dal nostro.

Lasciando da parte ogni giudizio di valore sul concetto di laicità, sta di fatto, comunque, che, in virtù di tale principio, nel periodo precedente alla “Primavera Araba”, le minoranze cristiane, in quei paesi, godono di una certa libertà, seppur limitata, e non vengono perseguitate, mentre i movimenti islamici fondamentalisti sono repressi.

Le cocenti sconfitte subite nelle guerre contro lo Stato di Israele del 1948, 1967 e 1973, gettano nello sconforto le popolazioni arabe. Da lì inizia la crisi dei regimi baathisti, che perdono la fiducia delle masse islamiche, le quali, per converso, cominciano a simpatizzare per i nascenti movimenti fondamentalisti, che promettono una riscossa islamica contro l’occidente corrotto e cristiano e il ritorno alla purezza originaria dell’Islam.

Un fenomeno analogo interessa anche l’Iran, in cui il regime dello Shah Mohammad Reza Pahlavi presenta diverse analogie con i regimi baathisti.

Reza Khan quando rovescia, nel 1921, la dinastia dei Qajar, vuole instaurare un regime nazionalista e laico tipo quello di Mustafa Kemal Atatürk, in Turchia e solo la resistenza degli ambienti religiosi, allora filo monarchici, lo convince a farsi incoronare Shah nel 1925 ed a fondare la dinastia dei Pahlavi.

Nonostante questo compromesso, la nuova dinastia persiana assume un profilo sostanzialmente kemalista: contenimento della gerarchia sciita e dell’influenza della religione islamica, che a tratti assume i caratteri di una vera e propria persecuzione, rivalutazione del periodo pre-islamico,  da una parte, e modernizzazione forzata, dall’altra, riforma agraria di carattere socialista, con espropriazione dei latifondi delle fondazioni pie musulmane e delle grandi famiglie principesche.

La rivoluzione khomeinista nel 1979, con la cacciata dello Shah, e l’instaurazione di un regime fondamentalista sciita, inaugura l’era delle rivoluzioni islamiche e concede il supporto statale a quel ribollire di sentimenti fondamentalisti e antioccidentali dei nascenti movimenti musulmani.

La seconda guerra del Golfo, con la caduta del regime baathista iracheno nel 2003, paradossalmente, favorisce i movimenti fondamentalisti, prima repressi da Saddam, e provoca la diaspora delle locali comunità cristiane, perseguitate da tali movimenti e non più protette, almeno non più come prima, dal nuovo regime a maggioranza fondamentalista sciita.

Da un regime dittatoriale, nel quale la repressione assicurava un certo ordine, sia pure fondato sul terrore e sul sangue, si passa ad un sistema politico caotico, dilaniato da ripetuti attentati, che diviene terreno fertile per i movimenti terroristi fondamentalisti, soprattutto qaedisti, provenienti dal Qatar, emirato arabo che con la sua emittente televisiva “al Jazeera” molto ha fatto per il sostegno della “Primavera Araba”.

Si stabilisce, di fatto, una “liaison dangereuse” tra il nuovo regime iracheno e quello iraniano, non fosse altro per la comune fede musulmana sciita e la vicinanza geografica dei due paesi.

Alla nuova situazione politica e religiosa di quella parte del Medio Oriente costituita dalle nazioni irachena e iraniana, si aggiungono, a partire dal 2011, gli, imprevisti, almeno fino al 2010, sviluppi della “Primavera Araba”.Sono curiose le analogie tra la rivoluzione iraniana del 1979 e quella egiziana del 2011. Nel 1979 in Iran, alla caduta dello Shah Reza Pahlavi, fu inizialmente costituito un governo di transizione formato per la maggior parte da esponenti laici o, comunque, non strettamente religiosi. L’occidente venne, quindi, tranquillizzato. Poi, quel che accadde è storia sotto gli occhi di tutti.

In Egitto, a Mubarak subentra, dapprima, il capo dei servizi segreti Omar Suleiman e, poi, il feldmaresciallo Mohamad Hussein Tantawi. L’esercito, nelle fasi iniziali della rivoluzione, riesce a mantenere il suo ruolo, costituendo una sorta di garanzia nei confronti dell’occidente fino a quando, giocando d’azzardo, il 12 agosto scorso Morsi dà il benservito al feldmaresciallo Tantawi, inserendo suoi uomini di fiducia nei ruoli chiave delle forze armate.

È ancora presto, al momento, per valutare gli sviluppi della situazione egiziana, per stabilire, cioè, se anche il paese dei faraoni si avvii o meno verso una rivoluzione di tipo iraniano, ma le premesse, dopo la vittoria dei Fratelli musulmani alle elezioni presidenziali del giugno scorso, ci sono tutte.

Quello che è certo è che il fondamentalismo islamico si espande verso il Mediterraneo, andandosi ad affacciare su quello che una volta veniva chiamato “Mare Nostrum”.

Né va dimenticata la Turchia, dove il presidente del consiglio Recep Tayyp Erdoğan, al potere da dieci anni con il suo Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), di ispirazione islamica, supera il laicismo kemalista, guarda con nostalgia al passato del paese asiatico, ritenuto glorioso, e rilancia una sorta di neo ottomanesimo, proponendo la Grande Turchia come guida per i paesi turcofoni, e non solo.

Resta, infine, da dire due parole sulla Siria. Anche lì è esplosa la “Primavera Araba”, ma essa ha dovuto fare i conti con un regime più organizzato e, cosa più importante, avente l’appoggio, almeno fino ad ora, di importanti paesi quali la Russia di Putin, la Cina comunista e l’Iran degli Ayatollah.

Al momento vi è uno stato di guerra civile, anche se la situazione sembra ancora in pugno ad Assad.

I pericoli che corre questo paese sono stati denunciati da Madre Agnès-Mariam de la Croix, superiora del monastero carmelitano di San Giacomo di Qâra, in Siria, che nel corso di una conferenza tenuta a Roma il 25 luglio scorso ha segnalato la presenza, tra gli insorti, di militanti qaedisti provenienti dal Qatar.

La stessa religiosa, all’inizio del 2012, in un messaggio agli amici del monastero, consultabile in rete, a proposito della situazione politica del suo paese, scrive: “La realtà non è binaria come ce la cantano. È complessa. Ci sarà ancora posto per i cristiani siriani nella destabilizzazione che è stata avviata in questa società composita? Il destino della Siria sarà ricalcato su quello dell’Iraq? Non lo sappiamo. Preghiamo… Non ci dimenticate. Il conflitto in corso si è trasformato, da una rivendicazione popolare di libertà e democrazia, in una rivoluzione islamista” [3].

Insomma, come si domanda l’autorevole rivista italiana di geopolitica “Limes”, ci troviamo di fronte ad una “Primavera Araba” o ad un “Inverno Mediterraneo”?

su Riscossa Cristiana del 26-08-2012)

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