La Costa Concordia e il naufragio dei talk show italiani

di Claudio Romiti

Come era scontato che accadesse, la funesta vicenda della Costa Concordia ha letteralmente monopolizzato l’interesse dei nostri talk show televisivi. Ma al di là di un legittimo diritto di cronaca, in molte di queste assise mediatiche si è finito per inscenare il solito processo sommario, che tanto successo sembra riscuotere presso una certa componente italica.

Ovviamente, la spinta quasi irrefrenabile dei professionisti che guidano codesti caravanserragli, in cui si discute un po’ di tutto, li porta a ricercare quasi spasmodicamente un mostro da sbattere in prima pagina; una sorta di capro espiatorio nazionale con il quale esorcizzare ogni eventuale senso di colpa collettivo. Un meccanismo vecchio come il cucco il quale, secondo le più elementari caratteristiche della psicologia di massa, viene utilizzato dai popoli per scaricare su una persona o su un gruppo ristretto tutta una serie di responsabilità generalizzate che, troppo spesso, vanno ben oltre quelle eventualmente appartenenti ai soggetti incriminati.

In tal modo, inoltre, assistendo alla crecifissione mediatica del “cattivo” di turno, l’uomo della strada è preda di un processo catartico, del tutto fasullo, con il quale egli avverte di sentirsi migliore di uno Schettino qualsiasi, criminale a buon mercato da lapidare idealmente. Tuttavia, proprio nel caso del comandante della grande nave da crociera naufragata di fronte all’isola del Giglio occorre precisare alcuni elementi che sembrano interessare ben poco ai mediatici cacciatori di mostri.

In primis, pur sembrando evidenti le gravissime responsabilità di Francesco Schettino – sebbene, vivendo nell’ambito di uno Stato di diritto, occorrerebbe attendere i risultati dell’inchiesta prima di esprimere un giudizio definitivo -,  la pratica del cosiddetto inchino, ovvero il pericoloso malcostume di portare questi grattacieli naviganti a lambire la costa, non l’ha certamente inventata questo signore.

Non salendo su una motonave da oltre 20 anni, ho appreso con raccapriccio solo dopo il disastro della Costa Concordia che un tale “vezzo” è molto diffuso tra capitani “coraggiosi” di questi grandi bastimenti che solcano le rotte italiche. E’ talmente diffuso e, tengo a sottolineare, assolutamente consentito -almeno fino al terribile venerdì nero dell’isola del Giglio- che nessuna capitaneria di porto, compresa quella che oggi viene santificata in antitesi alla demonizzazione di Schettino, ha mai avuto nulla da obiettare. Eppure, a quanto risulta, la rotta di queste grandi navi è tracciata in tempo reale dai satelliti, consultabile addirittura pubblicamente su internet. Cionostante, in passato, nessun organo competente sembra essersi messo di traversonei confronti di un “gioco” che prima o poi si sarebbe trasformato in tragedia.

In realtà, in un Paese che conosce ben poco il concetto di sicurezza e prevenzione, tradizionalmente abituato ad intervenire sempre dopo un congruo numero di morti, la mostrusità da sbattere in prima pagina è quella di una stupida e lassista tolleranza, pronta a trasformarsi all’occorrenza in spietata caccia alle streghe onde ripulirsi la coscienza. Per migliorare le cose, evitando la folle stupidità che ha mandato a picco la nostra più grande motonave, non servono nè mostri e nè eroi da usare come contentino.

Occorre solo far rigorosamente rispettare in tutte la fasi della navigazione le più regole più elementari, le quali certamente non possono consentire che una Costa Concordia qualsiasi si avvicini a riva come se fosse un pattino.

Claudio Romiti

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