Governo bluff: L’Italia non sta peggio di altri!

Il confronto con le economie forti a parole, dimostra che esse non stanno molto meglio. Occhio alle cifre prima di ammazzare il paese con una cura  sbagliata. Ha scritto così Alessandra Nucci prima che la politica s’inchinasse all’urgenza economica e il parlamento si apprestasse a ratificare il decreto Salva-Italia per guarire il paese «malato».
Ma mentre in molti già si chiedono se davvero che la cura da cavallo, approntata dal governo Monti, l’Italia la «salverà», o se al contrario non la condannerà piuttosto a una lunghissima recessione, bisognerebbe chiedersi intanto quanto l’Italia fosse davvero ammalata.
I dati relativi al 2010 dicono che l’economia italiana era la settima economia del mondo e la terza in zona euro, con un prodotto domestico lordo, il famoso Pil, di 2,1 trilioni di dollari (1,6 mila miliardi di euro). All’ottavo posto per le esportazioni del mondo, il sistema Italia vende merci all’estero per un totale di 448 miliardi di dollari.
Per popolazione, l’Italia è 23ma nel mondo, eppure la disoccupazione al settembre 2011 era all’8,3%, quindi più bassa della media dell’euro-zona (10,2%) e perfino degli Stati Uniti di Obama (9,1%).
In media, inoltre, i lavoratori italiani lavorano più ore all’anno di quelli tedeschi e francesi, e l’età pensionabile, tolta l’anomalia delle pensioni di anzianità, è più alta di quella francese e pari a quella tedesca. Inoltre, quando la pensione arriva, essa è mediamente più bassa, a fronte di più alti contributi versati.
Le proiezioni del Fondo monetario internazionale (Fmi) danno il deficit italiano al 4% del Pil, che è meno di metà del 9,1% previsto per gli Stati
Uniti. E se depurato del debito, il disavanzo si traduce in un avanzo che dà la vera immagine del motore economico del paese.
E veniamo dunque all’obiezione di sempre: il debito pubblico accumulato dall’Italia, sul quale si calcolano gli esiziali interessi che potrebbero mandare a fondo tutto il sistema. Si tratta, come tutti sanno, del secondo debito al mondo in assoluto.
Ma un dato poco rilevato nelle considerazioni a questo riguardo è il trend che l’Italia registra relativamente agli altri paesi. Nonostante la gravità
della crisi finanziaria internazionale, il rapporto debito/Pil italiano è quello che negli ultimi sei anni, fra i Paesi del G-7, è peggiorato meno di tutti. I dati del Fondo monetario internazionale dicono che l’aumento più grande l’ha registrato il debito del Regno Unito, dove il rapporto è schizzato in alto del 92%, seguito dal 62% degli Stati Uniti.
In questi stessi anni 2005-2011 invece il rapporto per l’Italia è cresciuto solo del 14%. (si veda tabella).
Poco commentato è anche il fatto che il debito italiano è quasi la metà di quello del Giappone, di cui nessuno si cura perché è interamente dovuto al suo interno. Anche da noi gran parte del debito è detenuto dagli italiani stessi, e l’Italia ha dimostrato di saperlo gestire prima che le agenzie di rating e le banche straniere, piene di titoli tossici che nelle banche italiane non ci sono, o ci sono molto meno, ci mettessero sotto tiro.
Per gli investitori a lungo termine infatti l’Italia rimane il sesto fra i paesi preferiti verso cui indirizzare i propri capitali (Imf Global Financial Stability Report del settembre 2011, tavola 2.15 ). Non così le banche estere nostre concorrenti.
Come dimenticare infatti la fulminea decisione della Deutsche BundesBank, nel luglio scorso, di disfarsi dei titoli italiani per circa 8 miliardi di euro in un solo giorno? E non con discrezione ma annunciandolo ai quattro venti, come si trattasse di mettere in guardia la comunità internazionale da cambiali messe in giro da lestofanti.
E la cosa più grave è che ha contemporaneamente speculato sui Credit default swap legati al debito italiano, un’operazione che si configura come un’auto-tutela ma che, essendosi la banca tedesca liberata di quasi tutti i Bot e Btp, in pratica è una scommessa sul nostro
fallimento. E non è solo il Reichstag che vuole tenerci succubi. E’ anche l’Eliseo.
di Alessandra Nucci
Ha collaborato da New York Vincenzina Santoro
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